I tratti umani del Beato don Puglisi

Nicolò Tempesta

Qualche settimana fa, in ricorrenza della festa del Sacro Cuore, giornata dedicata alla particolare preghiera per i sacerdoti, ho ripensato alla festa di sabato 25 maggio che ha visto padre Pino Puglisi ufficialmente salire agli onori degli altari. Forse don Puglisi ha accompagnato la celebrazione della sua Beatificazione col solito sorriso che lo caratterizzava. Un sorriso semplice e onesto che ha sorpreso anche i suoi assassini il 15 settembre 1993, giorno del suo 56mo compleanno. L’omicida Salvatore Grigoli, divenuto poi pentito di mafia, nella sua prima deposizione racconta di quel sorriso come se fosse stato un raggio di sole che iniziava a fare luce nel cuore della sua coscienza: ‘Il padre si stava accingendo ad aprire il portoncino di casa. Aveva un borsello nelle mani. Fu una questione di pochi secondi: io ebbi il tempo di notare che lo Spatuzza si avvicinò, gli mise la mano nella mano per prendergli il borsello. E gli disse piano: “Padre, questa è una rapina!”. Lui si girò, lo guardò – una cosa questa che non posso dimenticare, che non ci ho dormito la notte, – sorrise e disse: “Me l’aspettavo”. Non si era accorto di me. Io allora gli sparai un colpo alla nuca’.

La sua vita, fermata con un colpo di pistola, è stata una vita donata nella ferialità di Brancaccio e della sua diocesi palermitana ed è proprio questo suo tratto di umanità che rende don Pino non un eroe, neppure un super prete, ma un santo. Del resto se è vera la battuta che lo Spirito consacra quello che trova, la Grazia ci è garantita, ma l’umanità è ‘cosa nostra’, dobbiamo assicurarla noi, altrimenti che altro ci manca da fare?

Padre Puglisi a Brancaccio innanzitutto ricordava ai ragazzi che è possibile un modo nuovo e più vero di essere uomini, per questo nella vita, prima o poi, siamo chiamati a scegliere da che parte stare e fare della nostra umanità un tratto del volto di Dio Padre. Per questo don Pino chiamerà il suo oratorio parrocchiale ‘centro Padre Nostro’.

Il cardinale di Palermo Paolo Romeo, che ha presieduto la celebrazione eucaristica, ne ha tracciato un ritratto nella sua omelia, descrivendolo come ‘un padre discreto e accogliente, che sapeva di umano e di sovrannaturale insieme’. Un padre ‘che si lasciò interpellare dai bisogni del territorio e della gente affidata alle sue cure, soprattutto i piccoli e i poveri’. La beatificazione di don Puglisi ci spinge a dare tratti di eternità alla nostra umanità che spesso assomiglia sempre più a un ring di combattimento da dove facciamo fatica a rialzarci. Avere a cuore l’umanità di tutti i giorni significa per noi non nascondere il mistero di Dio, ma annunciarlo innanzitutto con i gesti, le parole, le piccole attenzioni che hanno reso il parroco di Brancaccio non un superman ma un uomo ‘Per Cristo a tempo pieno’, così come recitava lo slogan di un poster che hanno trovato a casa sua con su disegnato un grande orologio senza lancette. Ho letto di lui che non era una persona che si imponesse, non aveva grandi doti oratorie, né un fisico da palestra, traeva la sua forza nella celebrazione della messa quotidiana perché diceva che ‘la Chiesa può essere edificata solo pregando e studiando, celebrando e discutendo, amando e lavorando’.

Non ci va di sistemare don Pino Puglisi in una nicchia (forse irraggiungibile) ma di renderlo nostro compagno di viaggio sulle strade dell’ umanità e ripartire sempre, così come ‘ da direttore del centro Diocesano Vocazioni della diocesi di Palermo ‘ ci ricorda lo stesso Beato: ‘Bisogna cercare di seguire la nostra vocazione, il nostro progetto d’amore. Ma non possiamo mai considerarci seduti al capolinea, già arrivati. Si riparte ogni volta. Dobbiamo avere umiltà, coscienza di avere accolto l’invito del Signore, camminare, poi presentare quanto è stato costruito e poter dire: sì, ho fatto del mio meglio’.