Il munus profetico, santificandi e regendi esercitati in pienezza

Domenico Amato

È strano scrivere al passato di una persona con cui si è vissuto quotidianamente, condividendo progetti e preoccupazioni, confidenze e speranze, tristezze e gioie. Eppure nel volgere di una serata la vita di Mons. Martella è stata placidamente presa dal Signore che ha servito per tutta l’esistenza sacerdotale.
Steso, addormentato sul suo letto, così lo abbiamo visto, insieme ai dottori chiamati per la dolorosa circostanza, stroncato da un subdolo infarto, con la mano destra premuta sul petto quasi a voler fermare quel silenzioso nemico che ha fermato il suo cuore buono.
Sulle plance della città l’Azione Cattolica ha voluto dare il saluto al Pastore con una foto scattata insieme ai laici riuniti appena ventiquattr’ore prima, con don Gino sorridente, sereno, propositivo, già proiettato verso il nuovo anno pastorale, quello del nuovo umanesimo e della misericordia.
Il suo ministero episcopale lo ha vissuto nella comunione. Prima di tutto quella della collegialità episcopale. Una comunione praticata nei confronti dei tre papi che hanno accompagnato il suo episcopato: Giovanni Paolo II che lo aveva eletto vescovo e aveva voluto essere presente al rito della sua canonizzazione; poi Benedetto XVI che aveva invitato in Diocesi appena un mese prima della sua elezione a sommo pontefice; infine papa Francesco, che aveva incontrato in Argentina nei suoi viaggi pastorali tra gli immigrati. 
Una communio episcoporum che egli alimentava continuamente invitando sempre un vescovo per il convegno di settembre, e che si era rafforzata per il delicato compito che gli era stato affidato come visitatore dei Seminari d’Italia, un servizio svolto per oltre 9 anni.
La funzione del vescovo si esprime sempre verso il popolo a lui affidato attraverso i tria munera di Cristo che la Chiesa gli consegna. 
Mons. Martella ha vissuto il munus profetico con costanza e oculatezza. Era molto meticoloso nel preparare le omelie, che ancora scriveva a mano sui tanti quaderni e agende, con la sua grafia minuta e aggraziata, per poi trascriverle sul pc. Il ministero della Parola ha visto don Gino impegnato nelle tante omelie pronunciate in tutte le chiese della Diocesi, e nelle lettere pastorali che ogni anno non ha mai fatto mancare; oltre a quella Parola che egli ha pronunciato “opportune importune” come richiama l’Apostolo Paolo. Una parola che consolava, ma che all’occorrenza sapeva anche riprendere. Un ministero, il suo, fatto di ascolto; ogni giorno passava le mattinate nell’ascolto di persone che gli si rivolgevano per sentire le richieste, gli sfoghi, i racconti. Un ministero fatto di incontri: a quanti meeting e convegni e campi… ha preso parte.
Accanto a quello profetico Mons. Martella ha vissuto il munus santificandi, attraverso la celebrazione dei santi misteri e dei sacramenti. In modo particolare egli ha voluto presiedere tutte le celebrazioni del sacramento della Cresima, e quando non poteva con molto dispiacere delegava il Vicario. Egli voleva incontrare i ragazzi, conoscerli, lanciarli nella vita, incontrare le loro famiglie. Sapeva che la grazia di Cristo passa attraverso i sacramenti e per questo ci teneva che la liturgia nelle parrocchie, nelle chiese, negli oratori fosse sempre ben curata. Desiderava anche che il decoro della casa del Signore fosse sempre rispettato, per cui aveva avviato molti lavori di restauro e risanamento delle varie chiese della Diocesi, fino all’edificazione delle chiese parrocchiali di S. Achille e della Madonna della Rosa. 
Nella direzione di una testimonianza di santità si era impegnato a introdurre e a portare a compimento il processo di canonizzazione del Servo di Dio don Tonino. A un certo punto mi chiedeva se avessimo potuto accelerare con l’ascolto dei testimoni, per concludere la fase diocesana. Sembrava avere fretta, lui che era stato sempre molto ponderato e prudente, forse non voleva che le cose fossero lasciate a metà, e con grande gioia, appena qualche mese fa, mi comunicava che la Congregazione dei Santi aveva emesso il decreto di validità della fase diocesana.
Un servizio, quello del vescovo, che deve necessariamente esercitarsi nell’azione di governo, il munus regendi. Ricordo ancora, in uno dei primi ritiri al clero, questa dichiarazione: “Le nomine le farò io assumendomi tutte le responsabilità”. E a questo impegno è rimasto fedele. Non che non si consultasse; lo faceva e in modo molto riservato, anzi si lamentava quando qualcuno non era capace di tenere il giusto riserbo, ma alla fine era lui che decideva con ponderazione. A volte poteva sembrare che rimandasse le decisioni sine die, in realtà la sua era prudenza e quella capacità di saper aspettare che gli eventi maturassero, ma soprattutto si preoccupava, soprattutto nei confronti dei sacerdoti, che le sue scelte, anche quelle più decise, non fossero mai intese come punitive. E proprio per la sua riservatezza molte volte non è stato capito e di ciò mi ha espresso ripetutamente la sofferenza e il rammarico.
Qualche giorno dopo la sua morte, fra i compiti che necessariamente mi venivano affidati, c’era quello del riordino delle carte del vescovo defunto. Nessuno può immaginare l’emozione provata quando vidi una busta con su scritto di suo pugno: “Da aprirsi solo dopo la mia morte”. 
Il suo testamento spirituale ora lo si può leggere e tutti invito a meditare, ma sono quelle ultime due parole che mi hanno colpito e continuano a farlo: “A Dio”.
In quelle parole c’è il ringraziamento di una vita, l’offerta totale di sé, l’affidamento al Dio della vita e della misericordia. Ma c’è anche la fiducia nel futuro eterno. Egli si congeda dai suoi: dai suoi familiari, dagli amici, dai presbiteri, dai fedeli, dal suo popolo, non con un banale addio, ma con una speranza di risurrezione, perché egli continua a vivere in Dio e tutti siamo incamminati verso di Lui, per questo la nostra via continuiamo a percorrerla nella consapevolezza che tutti giungeremo “a Dio”, appunto, e lì ci reincontreremo.
Grazie don Gino! 
E continua a vegliare sul tuo popolo.