Invertire la rotta.

Editoriale n. 7 del 18 febbraio 2018

Sottotono, quasi sottovoce, è partita la campagna elettorale per le politiche del prossimo 4 marzo e, da subito, specie nel modo cattolico, si stanno susseguendo inviti ed esortazioni a non disertare le urne, in nome del dovere della partecipazione democratica o dell’esigenza di un voto utile. Un invito dettato dalla constatazione che il primo partito italiano è quello del non voto e che la maggioranza dei votanti esercita il voto come uno strumento di protesta.
Probabilmente non si è del tutto consapevoli che oggi, nel conclamato disinteresse della gente, abbiamo di fronte un elettorato indifferente a quel che avviene nella vita comunitaria, appiattito sulle proprie scelte personali, restio ad entrare in campo, avvinto da un torpore poco propenso a vivere un sentimento di partecipazione collettiva come quello che si manifesta solo durante le partite della nazionale di calcio.
D’altro canto abbiamo alle spalle un ventennio di asfissia e di scippo della gestione “del bene comune” che dà luogo ad una rabbia contro la casta, la delegittimazione della classe dirigente, l’indignazione e la denuncia anticorruzione, la denigrazione di ogni avversario, il moralismo dilagante, la speranza di un uomo o di un governo nuovo e forte, ecc…
Non c’è quindi da meravigliarsi se si decide di non recarsi alle urne. A sostenere questo rigetto o crisi di partecipazione contribuisce anche la nuova legge elettorale, in virtù della quale le liste dei candidati scelti in base alla fedeltà al capo non sono un caso, derivano dal potere dato ai segretari di partito e alle loro consorterie. L’elezione quindi dipende da chi ha deciso di collocare il candidato in quel collegio; si vota la lista non la persona. Ed in questa scelta sicuramente non ci si è posti il problema se un candidato è veramente rappresentativo del territorio oppure no, specialmente come nel caso dei famosi candidati “paracadutati” nei collegi: una conseguenza inevitabile della legge, che ha reso impossibile un rapporto dei candidati e futuri eletti con il territorio. Si verrà eletti raccogliendo il bacino di voti del partito di riferimento a prescindere dal suo radicamento, e senza autonomia dalle segreterie. Queste logiche creano quella scarsa fiducia nella classe politica che sta minando la democrazia.
Non possiamo allora illuderci che per cambiare sia sufficiente un richiamo al “dovere” civico.
Non bastano onnicomprensivi programmi elettorali o rilanci di moralità pubblica; ne tantomeno bastano ulteriori accentuazioni del protagonismo personalistico. Sarebbe utile invece fare maturare obiettivi, sentieri comuni che, facendo riferimento alla Dottrina Sociale della Chiesa, possano innestarsi nei processi di ripresa in atto e di gestione del bene comune, distanti dalle improvvisazioni elettorali. Un cammino che segni un’inversione di rotta; la Chiesa pugliese sta muovendo i primi passi in un’ottica di formazione e di stimolo per l’ingresso nella politica attiva di laici adulti nella fede. “Tutti i cristiani devono prendere coscienza della propria speciale vocazione nella comunità politica; essi devono essere d’esempio, sviluppando in se stessi il senso della responsabilità e la dedizione al bene comune, così da mostrare con i fatti come possano armonizzarsi l’autorità e la libertà, l’iniziativa personale e la solidarietà di tutto il corpo sociale, la opportuna unità e la proficua diversità” (GS n.75).
Non resta quindi che richiamare l’esortazione di Papa Francesco ai laici: “Mettetevi in politica, ma per favore nella grande politica, nella politica con la maiuscola!”