Il rapporto tra educazione e liturgia è inteso in una duplice direzione: si può essere «educati dalla liturgia» per realizzare l’incontro con Dio; è possibile «educare e/o educarci alla liturgia» per partecipare in modo più attivo e consapevole al mistero celebrato. In questa dimensione educativa la liturgia infonde la speranza.
I tre capitoli, che presentiamo sinteticamente, evidenziano l’importanza dell’intus-ducere (‘condurre dentro’ al mistero celebrato) nel percorso educativo della vita cristiana.
La liturgia «singolare risorsa educativa»
Nel Cristianesimo Dio si propone e si rivela all’uomo. Questa esperienza comunicativa, nella Chiesa, assume la forma liturgica e sacramentale. La celebrazione liturgica è l’espressione più alta del dialogo tra Dio e l’uomo, un «intreccio vitale», un «circolo comunicativo» di gesti e parole tra mittente e destinatario. Punto chiave di questa relazione è la risposta dell’uomo alla proposta di Dio. Tuttavia il destinatario non è solo il singolo credente, ma l’intera assemblea radunata e convocata da Dio. La liturgia è «scuola permanente di educazione cristiana» e considera Dio non come l’oggetto di una riflessione, ma come il soggetto di una relazione. Non mira ad una conoscenza intellettuale, ma ad un rapporto esistenziale e ad una relazione vissuta con Dio.
Sul piano pratico la liturgia forma il credente quando è «ben celebrata». Le «prassi celebrative sciatte o eccentriche» – segnala il Vescovo – necessitano di una cura in grado di educare alla ricchezza e alla complessità della liturgia, dato che «alla fede e alla vita cristiana non si giunge per automatismo di crescita, ma per iniziazione ed educazione».
Celebrazione «luogo» dell’incontro
Il tempio è il luogo privilegiato dell’incontro autentico e personale di due libertà, quella di Dio, che sceglie di adattarsi allo spazio umano pur essendo Trascendente, e quella dell’uomo, che «va incontro a Dio con tutto se stesso».
Nella liturgia la comunità non è radunata dal bisogno dello stare insieme, ma è convocata da Dio per essere ecclesìa, suo popolo. In quanto «azione di popolo» e «celebrazione corale», la liturgia crea comunione.
Don Gino mette in guardia dal pericolo che il tempio diventi un «luogo magico», in cui si compiono gesti sacri alla maniera dei maghi o degli sciamani, cercando amuleti o idoli. Spesso ci si trova «in assemblee amorfe, di gente che vi partecipa solo per soddisfare un precetto», o in un tipo di assemblea «societaria», simile ad un «gruppo statico o chiuso». Occorre dunque «un’effettiva educazione liturgica» che sappia riscoprire la vera «dimensione ecclesiale essenziale» dell’assemblea, intesa come «Comunità in Comunione con Dio e con gli altri».
Celebrare per vivere la speranza
Nella celebrazione eucaristica «il cielo di Dio si rende presente sulla terra dell’uomo». Dio incontra l’uomo e lo chiama ad una risposta. Come tale, la vita cristiana «è una grazia che fonda una responsabilità, è un dono inatteso che suscita corrispondenza». L’uomo si lascia coinvolgere e diviene «capace di annuncio e di speranza». Questo accade nella misura in cui «la liturgia educa alla speranza». Infatti nell’azione liturgica convergono passato e futuro, «la memoria degli eventi della storia della salvezza e l’anticipazione del futuro di Dio». Tale consapevolezza non estranea il cristiano dal mondo, ma lo induce, in maniera più convinta e decisa, all’impegno. ‘Sperare’, ribadisce Mons. Martella, significa allora «intravedere la luce attraverso l’opacità», rendendosi disponibili al futuro di Dio; superare la «cultura dell’effimero», vigente nella vita presente, appagata dall’euforia dell’attimo fuggente e incapace di «attendere l’inedito di Dio»; promuovere la «cultura della speranza», desiderosa della vita eterna e capace di «svegliare l’aurora» nella certezza che quanto è già avvenuto in Cristo risorto, «attende ogni uomo nel tempo e al di là del tempo».
Il Vescovo conclude esortando a seguire l’esempio dei santi o dei testimoni che hanno vissuto la speranza; così si può essere «seminatori di speranza» nonostante le difficoltà del presente e la drammaticità degli eventi. Prolungando la liturgia nella vita, si può compiere un cammino di crescita personale e comunitaria «nella gioia di vivere l’attesa del futuro già iniziato».