Nella Terra che è Santa: reportage di Luce e Vita da Israele-Gaza

di Luigi Sparapano

Dal 16 al 20 novembre 2015 una delegazione della Fisc, Federazione Italiana dei Settimanali Cattolici (che raccoglie le 190 testate di 160 diocesi) si è recata in Israele-Gaza per un viaggio-reportage con cui documentare le iniziative finanziate dall’8xMille. Un viaggio dalle tante sfaccettature di cui diamo conto, proprio nella Giornata della Pace, in questo diario curato dal nostro direttore che vi ha partecipato per Luce e Vita. Al di là della custodia delle “pietre sante”, l’impegno e la cura delle “pietre vive”, troppo offese nella dignità, molto amate nella carità. Serve pregare Dio, conoscere i fatti e scuotere la politica.
 

Lunedì 16 novembre
Il viaggio in Terra Santa parte da qui. Al gate per il volo diretto a Tel Aviv ci sono gli ebrei ortodossi, con tallit e filatteri indossati per la preghiera. Col loro movimento corporeo cadenzano la salmodìa, chiusi nel loro spazio sacro. E ti chiedi quali sentimenti provino e quale fede sperimentino al punto da compiere questo rito di vestizione, in un affollato aeroporto, quasi gelosi degli sguardi degli astanti che inevitabilmente incrociano il loro. Poi arrivano una decina di Francescani che si preparano all’imbarco verso la terra di Gesù, che è la terra di Abramo ed anche quella di Maometto. Non mancano infatti viaggiatori musulmani. C’è una famiglia interetnica, lui occidentale, lei di colore e altrettanto i figli… tutti diretti alla patria comune. Alle origini della propria fede e della propria storia religiosa. Peccato che ciascuno ci vada per conto proprio. Indifferente degli altri.
Si parte, sorvolando l’Italia, l’Adriatico, il mare nostrum… e volano anche i pensieri verso gli affetti che lasciamo, ignari di quelli che incontreremo. Intanto dall’oblò le nuvole macchiano l’azzurro. 
Arrivederci Italia!
All’arrivo a Tel Aviv ci accoglie il diacono cristiano maronita Sobhy Makhoul, israeliano, direttore del Christian Media Center, l’ente che gestisce l’informazione da parte delle comunità cristiane che hanno saputo raccordarsi in diversi aspetti della difficile coesistenza in Terra Santa. Parla sei lingue, perfettamente anche l’italiano avendo studiato filosofia e teologia per dieci anni a Roma. Persona gentile, competente e più che disponibile. Nel viaggio in pullman verso Gerusalemme ci traccia un quadro completo della Terra Santa dal punto di vista geografico, storico e religioso. Ebrei e musulmani si diversificano tra le fasce più ortodosse e quanti abbandonano la fede, in mezzo una fascia di moderati. I cristiani sono minoranza, 1,5-2% della popolazione, distinti in 13 confessioni con rispettivi vescovi che hanno giurisdizione sulle persone e non sui territori. Se le confessioni cristiane hanno saputo dialogare, costituendosi in consiglio ecumenico, sono invece destinati a naufragare tutti gli sforzi di dialogo con le altre fedi. Ma non c’è da arrendersi. 
É quanto sostiene anche il patriarca latino di Gerusalemme Mons.Fouad Twal che abbiamo incontrato nella sua casa a Gerusalemme. Molto affabile e navigato nel suo ruolo, ormai alla conclusione dell’incarico, per raggiunti limiti di età. Ci racconta come sia possibile essere cristiani qui, con le tante difficoltà da affrontare. Ma anche dell’oblio in cui cade la situazione della Terra Santa dal momento che i media e la politica hanno spostato l’attenzione verso la Siria e l’Iraq. Solo l’ultima intifada dei coltelli o gli episodi di violenza più eclatanti riaccendono per un po’ i riflettori. «Si discute molto, a partire dalla Nostra Aetate, – sostiene Twal – si è avviato un consiglio di autorità tra le varie religioni presenti, discutendo i contenuti dei diversi catechismi nell’educazione dei più giovani, ma tutto sembra naufragare perché subentra la paura; e la politica in questo processo non accompagna». Il Patriarcato è molto presente con ospedali e scuole, alcune delle quali usufruiscono del sostegno italiano dell’8xMille: 100 istituti scolastici per 75 mila ragazzi, soprattutto non cristiani, ospedali cattolici gremiti da pazienti non cattolici, 13 associazioni di carità, avvocati che offrono prestazioni gratuite… ma i cristiani sono perseguitati e non hanno vita facile. Sono umiliati, nonostante l’impegno che mettono nella direzione della pace. Si fanno più pesanti le parole dell’arcivescovo quando allude al maledetto problema del commercio delle armi in cui anche l’Italia ha la sua parte. Sempre grazie all’8xmille italiano sono stati avviati progetti di artigianato per ragazzi e ragazze, per dare loro una preparazione lavorativa; per evitare la fuga dei cristiani dalla Terra Santa ci sono anche progetti di costruzione di case a costi agevolati.
Il viaggio è appena cominciato e i pensieri agitano la nottata.
Martedì 17 novembre
Questa seconda giornata comincia subito, dopo una tranquilla notte al Pontificio Istituto Notre Dame di Gerusalemme, dove è stato accolto Papa Francesco nel suo recente viaggio in Terra Santa. L’orto degli ulivi, il Getsemani, la pietra che ricorda l’agonia di Cristo; il Muro del pianto, spazio privilegiato di preghiera degli ebrei, là dove sorgeva il tempio, la casa di Dio, la presenza fisica di Jahve; la Messa nella cappella Dominus Flevit, che ha come abside la vetrata che mostra Gerusalemme e l’inconfondile cupola della moschea di Omar. I luoghi islamici e la spianata del tempio senza poter accedere nelle moschee, dal 2000 precluse ai turisti. Poi il  Santo Sepolcro con tutto il carico di spiritualità, di fede, di emozioni, di riti e ritualità. Conteso dalle confessioni cristiane, sospeso nello status quo che delinea spazi e riti invalicabili. E qui il disagio si fa più profondo per la divisione interna a quanti riconoscono e invocano il Dio incarnato, morto e risorto. Ciascuno per proprio conto. 
Ma i pensieri sono tutti orientati alla giornata di domani.
Mercoledì 18 novembre
La giornata è impegnativa, Gaza suscita tensione. Le avvertenze che riceviamo non sono molto tranquillizzanti, ci aspettano controlli, bisogna fare attenzione all’uso di fotocamere e cellulari.
Dal pulmino che ci porta si intravvede il muro che circonda questa striscia lunga  fino a 45 km di lunghezza e larga fra i 5 e i 12 Km, soltanto 360 Kmq.
Tre guerre negli ultimi 9 anni e il permanente blocco israeliano fanno di questa striscia una prigione. 2 Milioni di cittadini sopratutto musulmani, 1000 cristiani, 130 cattolici, chiusi in un assurdo spazio ad altissima densità. Grazie allo splendido don Mario Cornioli, sacerdote Fidei donum della diocesi di Fiesole, in servizio al patriarcato latino di Gerusalemme da oltre dieci anni, siamo riusciti ad avere per tempo i permessi e a superare i duri controlli israeliani al valico di Erez, a percorrere i circa 1200 metri di tunnel nella terra di nessuno che separa Israele da Gaza, superare la frontiera di Fatah dove troviamo abuna (padre) Mario Da Silva, un altro splendido sacerdote brasiliano, parroco di Gaza, che ci accompagna all’altro controllo, quello di Hamas. 
Finalmente le due auto che ci portano tagliano su strada dissestata la Striscia presentandoci scenari assurdi: fango, case sventrate, baracche, assenza di segnaletica, incrocio di carri trainati da asini stanchi, palazzi anneriti, macerie, bambini scalzi, uomini intenti a recuperare pietre e ferro… Perchè l’embargo di Israele impedisce che arrivino ferro e cemento per ricostruire. Ci squadrano bene perchè lì non ci va mai nessuno, ma ci salutano, soprattutto i bambini, facendo la “V” con le dita.
Percorsa la polverosa strada giungiamo in una periferia a visitare un centro che sarà inaugurato proprio il 25 novembre, Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne; il Centro per le Donne, realizzato nell’ambito del progetto finanziato dall’UE: “Promoting the Bedouin Centre “Children’s Land” as a participatory lab for community development in Gaza Strip” e implementato da Vento di Terra ONG in partnership con Canaan Institute of New Pedagogy.
Alessandra Viezzer, responsabile UE per la Cooperazione, e Issa Saba, direttore del Canaan Institute of New Pedagogy, ci presentano con orgoglio il centro di Um Al Nasser, costituito da due piani più una terrazza. Il piano terra ospita due laboratori gestiti interamente dalle donne locali: uno di sartoria e uno di falegnameria, in cui le donne islamiche, che nel frattempo si ricoprono il volto prima di incontrarci, producono giochi ecologici per bambini, ispirandosi a diversi approcci come il metodo Montessori. L’obiettivo è di vendere i giochi agli asili e ai centri per l’infanzia nella Striscia di Gaza, per poi provare ad espandere la vendita al mercato internazionale; proprio lì accanto risorgerà un asilo per bambini, già precedentemente bombardato, finanziato anche dalla CEI.
I due abuna Mario ci accompagnano alla Holy family school, sostenuta dall’8xMille, che accoglie circa 700 alunni, di cui solo il 10% cristiani, nei 12 gradi scolastici, dai 6 ai 18 anni. Sono impartite tutte le discipline ed anche la Religione per 3-4 ore settimanali, spiegata separatamente per musulmani e cristiani. É l’unica scuola mista, solo 7 ragazze portano il velo; è anche l’unica che ricopre tutti i gradi scolastici e pur essendo privata molti ragazzi non pagano la retta, soprattutto dopo la guerra che ha falcidiato tante famiglie. Il deficit annuo della scuola è coperto dal Patriarcato. Importante è il contributo economico dei Cavalieri del Santo Sepolcro, anche italiani.
Giriamo per le aule – accompagnate dalla Direttrice Neven Ghattas Hackoura, la quale alla mia domanda se avesse pensato di andare via da Gaza, ha risposto senza esitare che “questa è la mia terra e non potrò mai lasciarla” – ed è una festa da parte dei bambini che sono meravigliati di noi, vogliono essere fotografati, sono entusiasti della nostra presenza, dal momento che è cosa molto rara. I più grandi commentano i fatti di Parigi, e aggiungono che ne sono dispiaciuti, che loro studiano e non sono terroristi, ma anche lì loro sono morti e muoiono migliaia di persone nel silenzio assordante del mondo.
Il frugale pranzo nella canonica di abuna Mario e delle Suore, entrambi della Congregazione del Verbo Incarnato, è occasione per scandagliare le difficoltà che vivono i cristiani a Gaza, con discriminazioni e violenze che devono subire nonostante il servizio della comunità cristiana sia rivolto essenzialmente ai figli di famiglie islamiche.
Poi riprendiamo il tour mentre nel cuore albergano sconforto e meraviglia. Lo sconforto di una situazione di assurda condizione di vita e la meraviglia di un volto come quello di abuna Mario, 36enne, sorridente nonostante il rischio che corre ogni giorno, che vive lì con un confratello, senza le nostre comodità, a manifestare quel volto paterno di Dio. Ci dice che i cristiani, la domenica, per sentirsi accolti, vanno prima a Messa dagli Ortodossi alle 8, poi alle 10 nella Chiesa cattolica poi al pomeriggio dai Protestanti. Un ecumenismo di fatto per superare l’isolamento. Quante riflessioni per la nostra vita cristiana… A questo punto ci dividiamo in due gruppi per andare ad incontrare in casa due nuclei cristiani. Io seguo il gruppo che va ad incontrare Naima, che tutti chiamano “Um George”, la madre di George. Ha anche due figlie di cui non ha notizie, ma il dolore è per il figlio che, varcato il muro 25 anni fa, non è più rientrato per timore di rimanere bloccato. George vive a due passi, a Gerusalemme, ma sembra una distanza infinita. 81 anni, malata, sola, suo cognato è italiano, Alfredo Massari; non ci sono previdenze sociali; solo abuna Mario e le suore di Madre Teresa vanno ad incontrarla, per riassettare la casa, portarle da mangiare, farle compagnia… e il resto del tempo prega e litiga con un’immagine di Gesù lacerata, ma poi fa pace. Il ricordo più bello: tutta Gaza, tutta la Palestina e il suo mare. Quello più brutto: la solitudine e la mancanza di cibo. Un desiderio: vedere il Papa! Ci racconta delle guerre, delle esplosioni, dell’irruzione dei soldati nella chiesa dove si rifugiavano, nonostante la bandiera bianca. Ora aspetta di morire, ma alla nostra domanda circa gli israeliani, responsabili dell’assedio, risponde pacata: “In tutti i popoli c’è gente buona e gente cattiva”. Come lei, sono tantissime le persone che ricorrono a padre Mario per ricevere aiuto ed egli è convinto che lì è chiamato a fare questo, come anche a Gesù venivano chiesti benefici materiali prima e oltre le parole.
A Gaza c’è il volto delle Suore che fanno oratorio con i ragazzi, alternando gioco, letture, catechesi, carità… E il volto commovente delle Suore di Madre Teresa. 
I nostri occhi si bagnano e le parole vengono meno quando entriamo in una grande sala dove sono disposti intorno 44 bimbi (0-3 anni) che le sei Suore, aiutate da volontari, accolgono amorevolmente, ciascuno con la sua disabilità fisica o mentale, in ogni modo amato, curato, accarezzato, quando le mamme, e men che meno i papà, non possono farlo. Lasciati da genitori incapaci di accudirli, oppure orfani e senza la possibilità di essere adottati: le Suore vivono solo di Provvidenza (tra cui anche i fondi italiani), e nei loro volti sorridenti, accanto a quello dei piccolissimi talvolta deformati e senza il diritto di essere debitamente curati fuori da Gaza, si scorge realmente il volto materno di Dio. 
Una carezza, un bacio, un ultimo sguardo a quegli occhi inconsapevoli, e un senso di grande impotenza. Ma già sapere e raccontare è molto importante.
Signore, tocca i nostri cuori!
 

Giovedì 19 novembre
Molto presto, all’alba, ci siamo rimessi in moto per giungere primi ai varchi e uscire da Gaza, così da non trovarci bloccati dal flusso quotidiano di lavoratori che, per loro fortuna, oltrepassano il muro. Gli abbracci con abuna Mario sono profondi, dicono più di tante parole, e rimandano a prossime volte… chissà. E dopo gli insistenti controlli da parte israeliana, dubbiosa sulle motivazioni del nostro viaggio, usciamo dalla prigione di Gaza. Sì, una prigione che il mondo tollera. Che Israele vuole, spero non venga attribuita alla volontà di Jahvè…
Destinazione Betlemme. Il viaggio in pulman è alquanto silenzioso e non certo per la stanchezza. A ravvivarci ci pensano i 160 bambini audiolesi del centro Effetà di Betlemme, fondazione voluta da Paolo VI nel suo storico viaggio in Terra Santa, per curare i bambini sordi, tutti di famiglie musulmane (tranne due cristiani), la cui patologia è causata dai matrimoni consanguinei. La straordinaria squadra di sette suore Dorotee Figlie dei Sacri Cuori – 5 italiane di Vicenza – e le insegnanti, guidate dalla inossidabile Suor Piera che è lì da 20 anni, restituisce letteralmente la voce a questi bambini praticando il metodo orale, non quello dei segni. I bambini infatti non sono muti e ce lo assicurano con il canto di benvenuto col quale ci accolgono. La CEI sovvenziona questo centro che istruisce i ragazzi fino alla maturità classica; chi può paga le cure, altri, provenienti dai villaggi vicini, le ricevono gratuitamente. Accanto alle cure e all’istruzione vi è un interessante lavoro di educazione civica, come il programma di differenzazione di rifiuti che stanno conducendo in questo periodo. 
Un altro angelo si accosta sul nostro cammino, Vincenzo Bellomo, siciliano sposato in Palestina e lì residente, che segue tutti i progetti della Caritas di Betlemme per conto della Custodia dei Francescani che, appunto, non custodiscono solo le pietre sacre, ma anche le “pietre vive” dei luoghi santi. Ci conduce alla scuola femminile di S.Giuseppe, gestita dalle suore Giuseppine, con quella maschile contano 1000 studenti che arrivano alla maturità classica; poi ci presenta un interessante progetto della CEI finalizzato a formare 20/25 donne palestinesi, così da renderle protagoniste della propria vita che qui, come si intuisce, è subalterna a quella degli uomini. Cultura, lingue, internet e artigianato sono i percorsi formativi, finalizzati alla costituzione di una cooperativa di microbusiness, che produca e commercializzi prodotti artigianali: marmellate, manufatti in cucito, piccoli oggetti di arredo, con un proprio brand da offrire ai turisti, oltre ai più tradizionali manufatti in legno di ulivo. Ci offrono una candela dal profumo dolce, come dolce è il loro sguardo, felice per quello che viene loro permesso di fare. 
Ancora in pulmino per dirigerci al Centro diurno della Società Caritatevole Antoniana, istituita da 102 anni, riferimento per i più poveri della città che qui vengono accolti dal momento che l’Autorità palestinese non ha mezzi per aiutarli, niente welfare, niente reddito per chi non può lavorare. L’alternativa è il manicomio nazionale (dove risiedono matti, drogati, alcolizzati…). Solo alcuni aiuti internazionali giungono, ma è soprattutto il servizio che la Chiesa offre, scuola e sanità, a garantire una sufficiente sopravvivenza. Sono accolte 28 donne sole o abbandonate da mariti poligami o in perenne attesa di denaro che i figli emigrati non mandano. Nel centro ha luogo ogni giorno la mensa dei poveri.
Stiamo visitando l’Ostello dei Giovani, un centro finanziato in parte dai fondi dell’8xMille, che consentirà ai giovani pellegrini di venire in Terra Santa con pacchetti low coast, quando ci spaventa lo scoppio di lacrimogeni conseguenti ad un’intifada delle pietre che, come quasi ogni pomeriggio avviene, a ricordarci quanto sia altissima la tensione tra israeliani e palestinesi.
E dopo un breve passaggio dal centro salesiano, che ospita l’oratorio e le scuole professionali, famoso per essere stato l’unico forno che ha distribuito pane gratis a Betlemme durante l’ultima grande intifada, il nostro viaggio si conclude nell’Hogar Niño Dios, una casa di accoglienza per “bambini difettati” come li definisce simpaticamente don Mario Cornioli, che ne è l’ispiratore. Le Suore del Verbo incarnato ospitano 20 bambini disabili, di quelli che nessuno vuole, ma ai quali suore, preti e volontari donano la vita. Loro ci trattengono, vogliono giocare, poi li accompagniamo a letto. E a letto ci andiamo anche noi, con quel senso di impotenza, vinto dalla responsabilità di raccontare la grandezza di Dio e di tante persone che lo amano davvero. Domani si parte, non prima di aver baciato quella mangiatoia di Betlemme dove Dio, per fortuna, si è fatto uomo. 
Arrivederci Israele e Gaza!