E’ di un mese fa un interessante articolo pubblicato su Lettera 43, che denuncia l’assenza dei laici cattolici dal dibattito pubblico inerente gli scandali degli abusi sessuali nella Chiesa e la necessità, più in generale, di sentire ogni tanto la loro voce nel contesto sociale e civile. Viene da chiedersi se il silenzio dei laici sui fatti e misfatti che hanno segnato la Chiesa mondiale, sia da attribuire ad afasia o, piuttosto, a sgomento e dolore. Non è che non abbiamo niente da dire, anzi la condanna è inequivocabile; in realtà non abbiamo parole per commentare quanto è successo e ha colpito e sferza ancora ognuno di noi, facendo tremare le salde fondamenta dell’appartenenza ad una Chiesa nella quale ci siamo spesi e continuiamo a spenderci e a servire, magari con qualche disincanto in più. Il nostro non è un silenzio colpevole e complice, dunque; direi che è un silenzio di fede, umile e paziente. Rimane aperta la questione che funzioniamo ancora al venti per cento delle potenzialità per noi attivate dal Concilio Vaticano II. L’altro ottanta per cento sonnecchia sotto la coltre di perbenismi, piaggerie, sudditanze, che liberano da ogni responsabilità e ci fanno vivere in quest’aura indefinita, di identità tranquilla, ma incompleta, come se ci mancasse sempre qualcosa.
Senz’altro serve un sussulto di autostima, per recuperare il ruolo che ci compete, all’interno della Chiesa come nella società civile. Nella Chiesa servono laici preparati, sui temi della fede quanto sulle questioni che oggi interrogano la fede stessa. Non semplici collaboratori, ma gente che sente tutta la corresponsabilità del cammino e delle direzioni da intraprendere nella concretezza della quotidianità dei percorsi pastorali. Gente che affianca i propri sacerdoti con intelligenza e quella sapienza che deriva dalla consapevolezza della propria identità laicale, capace di attraversare il guado della contemporaneità, spostando l’attenzione dal mantenimento degli spazi occupati (iniziazione cristiana, preparazione ai sacramenti, volontariato caritativo, eventi cultural religioso popolari) e dell’esistente, allo studio e alla ricerca pastorale di nuovi obiettivi, nuovi ambiti di servizio, nuove modalità di accompagnamento alle donne e agli uomini del nostro tempo.
Nella società civile serve testimonianza nell’impegno a rifondare la comunità, una testimonianza in controtendenza nel recupero dell’adultità e nell’esercizio educativo di genitorialità diffusa nei confronti della gioventù, nel rifiuto dell’astensione dal pensare e dall’agire, nella qualità della presenza sul luogo di lavoro, nell’attenzione che va oltre la propria famiglia e gli affari propri e nell’assunzione di responsabilità, nell’apprendimento di più opportuni stili di vita, nel ripristino di relazioni umane autentiche, nell’uso parco, essenziale e meditato dei social, nell’implementazione creativa di una cultura per l’uomo.
E la politica? Dopo la sensibilizzazione operata dalle scuole socio politiche e le micro e macro sperimentazioni, dall’ingresso, a titolo personale, in formazioni già presenti nel variegato panorama politico, ai tentativi di ricreare spazi di impegno nell’esperienza delle liste civiche o di risuscitare forme varie di aggregazione dei cattolici con o senza la benedizione dei Vescovi, l’impressione è che siamo al punto di partenza. Converrebbe fare un bel bilancio consuntivo di questi anni e provare a immaginare percorsi di ri-affezione e alfabetizzazione di massa ai temi, ai linguaggi, alla pratica e alla deontologia amministrativa e soprattutto al pensare politicamente. Contemporaneamente sarà il caso di programmare seriamente un’efficace stagione di impegno sul campo. Potrebbe essere l’ora di un soggetto politico che rilanci i fondamenti del cattolicesimo democratico, fatto da un nucleo di cattolici, ma aperto a tutti? Ragioniamoci su. In altre epoche storiche i laici cattolici hanno saputo lavorare e fare la differenza, quando si è trattato di rimettere in piedi il Paese. Forse questo è il tempo di condividere un po’ di idee (che comunque ci sono), tirar fuori persone di qualità e riprovarci con giudizio e in modo progettuale, individuando strade possibili per non rinunciare a vivere questo delicato ambito di servizio. Senza troppi proclami, ma neppure sottotono.
di Angela Paparella