Omicidio a Ruvo. L’abbraccio della Comunità

di Mons. Luigi Martella

Pace e grazia su tutti voi, cari fratelli e sorelle.

La Liturgia di questo giorno illumina il significato profondo, intenso e misterioso del Giovedì Santo. «Dal tuo fianco squarciato effondi sull’altare i misteri pasquali della nostra salvezza», recita l’inno delle Lodi. Davvero la salvezza è Gesù. è Lui il Sacerdote eterno, consacrato dal Padre con il crisma dello Spirito. Con l’unzione sacramentale, Egli ci rende partecipi della sua dignità regale, sacerdotale e profetica. Effonde su di noi l’olio della letizia perché nei Sacramenti ci dona l’abbondanza dello Spirito.
Il Giovedì Santo, nel ritmo di questa misteriosa settimana che ha ricostruito, ricreato il mondo, ha capovolto la delusione amara della prima settimana della storia, è il giorno della sacramentalizzazione della Pasqua.
Cosa vuol dire questa parola? Vuol dire che la Pasqua non è avvenuta, ma avviene. Avviene sempre, avviene oggi, avviene ovunque. Avviene qui, in quei segni pasquali che sono i Sacramenti. Oggi è il giorno della sacramentalità della Chiesa.
Come voi sapete, si celebrano oggi due liturgie. Quella della mattina si celebra solamente nelle Chiese Cattedrali ed è presieduta dal Vescovo. Dove c’è il Vescovo c’è tutta la Chiesa, ecco perché ci siamo tutti. Dunque questa mattina, celebriamo la Messa crismale, la liturgia degli olî. Sono gli olî dei catecumeni, degli infermi e il crisma; questa sera la liturgia della istituzione dell’Eucaristia, memoriale della Pasqua.
Diciamo spesso che la Chiesa è sacramento di Cristo come Cristo è sacramento del Padre. Cosa vuol dire tutto ciò? Vuol dire che Dio, l’Invisibile, si è manifestato nel visibile e Gesù ne è l’immagine. Nella sua visibilità poi Cristo, con le sue mani e la sua voce, ha reso operante l’invisibile Dio. Allora i Sacramenti sono segni del Mistero del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo e sono chiamati i Misteri pasquali della nostra salvezza. Indicano una realtà nascosta: l’Opera di Cristo che santifica, sana, fortifica. La Chiesa oggi li custodisce, li rende visibili come sorgente di vita per la storia degli uomini.
Ritorniamo alla liturgia degli olî.
La Chiesa ci dice che noi tutti siamo unti, cioè consacrati. Sapete cosa vuol dire la parola cristiano? Deriva da Cristo e Cristo, Kristos, vuol dire Unto, consacrato. E noi siamo unti nel profondo, unti nello Spirito. L’olio ne è il segno esteriore. Come il bacio che è segno dell’amore e la stretta di mano che è segno dell’amicizia. Anche la Chiesa ha dei segni che rivelano l’azione invisibile, profonda, di Dio in noi. La benedizione che faremo dei tre oli, quello dei catecumeni, degli infermi e del crisma, ha un triplice significato. Di guarigione: l’olio degli infermi. Di lotta: l’olio dei catecumeni. Lotta che è guarigione del cuore, itinerario della conversione. Di fortezza: il crisma, la fortezza dell’atleta. Un ragazzo che si prepara alla Cresima è come un atleta. Questi si prepara alla gara, quello ad affrontare la vita. Per i bimbi del Battesimo, per voi presbiteri, per me Vescovo, l’unzione simboleggia la nostra appartenenza a Cristo. è un sigillo indelebile quello che viene impresso nel Sacramento del Battesimo, della Cresima e dell’Ordine Sacro: Cristo è l’Unto, il Consacrato e noi cristiani celebriamo oggi la nostra consacrazione. La consacrazione del Battesimo, della Cresima, dell’Ordine sacro. E ancora la pienezza della consacrazione dei religiosi e delle religiose, intesa non solo come consacrazione sacramentale, ma come vita orientata alla conformazione piena con Cristo.
Saluto allora tutti voi consacrati a Dio. Saluto i genitori dei bambini che riceveranno il Battesimo, saranno immersi nella morte e risurrezione di Gesù e così nasceranno alla vera vita. Saluto i ragazzi della Cresima. Nutriamo molta speranza in voi. La Chiesa ha bisogno della vostra freschezza e del vostro entusiasmo. Questa parola: entusiasmo proviene da enteon e vuol dire aperti a Dio, al bello, al vero.
Saluto voi religiosi e religiose che siete silenziosi testimoni del Signore. Un cordiale e fraterno saluto porgo a Fra Francesco Neri, Provinciale del Frati Cappuccini della Provincia di Bari, e lo ringrazio per aver scelto di condividere con noi questa solenne celebrazione liturgica.
Saluto gli ammalati, gli infermi, i sofferenti, i consacrati per la Croce. Tutti portiamo la croce, ma i sofferenti sono particolarmente consacrati alla Croce e vivono nel mondo il dono misterioso di quell’offerta che sa trasformare l’amore in dolore e il dolore in amore. Saluto voi diaconi che con il vostro ministero richiamate più da vicino la dimensione del servizio a favore del popolo di Dio.
Consentitemi però di salutare particolarmente i presbiteri. Il Giovedì Santo, infatti, è la giornata dei sacerdoti. Essi sono coloro che rendono presente, con i Sacramenti, il Signore. Rendono presente Gesù nell’Eucaristia. I preti di questa Chiesa sentono di essere custodi di una grande storia di dedizione e di santità. E fra essi saluto particolarmente i sacerdoti che oggi non possono essere presenti perché ammalati. Penso in particolare a don Mario Jurilli e don Michele Fiore. Mentre siamo ancora addolorati per la recente scomparsa di don Paolo Cappelluti. Ricordiamo i sacerdoti che sono lontani a servizio della Chiesa: innanzitutto vorrei ricordare S. E. Mons. Nicola Girasoli, recentemente trasferito quale nunzio apostolico nelle Antille; Mons. Antonio Neri, sottosegretario alla Congregazione per il Clero; e poi don Vincenzo Turturro, anch’egli trasferito da qualche settimana in Nicaragua. Inoltre ricordiamo Mons. Pietro Amato, don Romolo De Sario e don Peppino Aruanno.
Un saluto carico di affetto lo rivolgiamo a don Vito Bufi per il 25° di ordinazione; ancora più sentito è l’augurio che esprimiamo a Mons. Giuseppe Milillo per il 50° di sacerdozio.
Ci prepariamo inoltre a vivere in letizia, fra un po’ di giorni, l’ordinazione diaconale di due giovani seminaristi: Luigi Amendolaggine e Vincenzo Marinelli. E infine, con incontenibile gioia, colgo l’occasione per annunciarvi che il 26 maggio prossimo, vivremo una veglia di Pentecoste davvero speciale, in questa stessa Cattedrale, perché tre nostri diaconi riceveranno l’ordinazione presbiterale: don Massimo Storelli, don Giuseppe Germinario e don Silvio Bruno.
Fin da ora esprimiamo al Signore la nostra gratitudine e invochiamo per loro l’abbondanza dello Spirito Santo. Lo stesso Spirito che ha consacrato e ha mandato ciascuno di noi, carissimi sacerdoti.
Consacrazione e missione: è la consapevolezza che deve accompagnare la nostra vita.
La pagina che ogni anno ascoltiamo in questa solenne liturgia ce lo ricorda. Riprendendo le parole del profeta Isaia, l’evangelista Luca presenta Gesù che proclama per sé e per tutti i sacerdoti: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato» (Lc 4, 18).
Caro fratello sacerdote, una tale consapevolezza contiene in sé dei punti decisivi per l’autenticità della tua missione:
a)     Sei sacerdote perché Cristo l’ha voluto. Lui solo sa il perché. «Chiamò a sé quelli che egli volle». Ti ha chiamato, perché ti porta nel cuore. Ti ama. Ti dà fiducia. Ti ritiene capace di far parte del mistero della salvezza del mondo.
b)     Non sei prete da solo. Nasci e vivi da prete in quanto appartieni al corpo sacerdotale, di cui è capo il Vescovo. L’unità del presbiterio non è un’esigenza funzionale o di efficienza organizzativa, ma un dato sacramentale del presbiterio. Ogni presbitero, sia diocesano che appartenente ad un Istituto di vita consacrata o a una Società di vita apostolica, deve impegnarsi a coltivare questo vincolo di unità con il presbiterio diocesano, in modo da renderlo autentico ed effettivo.
c)     Anche tu sei prete per la gloria di Dio e per servire il Vangelo, come gli Apostoli e la moltitudine di santi sacerdoti, vissuti lungo i secoli. Sei mandato ai vicini e ai lontani, a chi ti cerca e a chi non farà sentire mai la sua voce, ai cosiddetti «cristiani della soglia» e al «cortile dei gentili»: tutti sono tuoi interlocutori, senza distinzione di categoria o di appartenenza. Nessuno sia escluso dalle tue attenzioni e accoglienza. Al centro del tuo ministero c’è la persona umana, con le sue esigenze, che attende di stabilire una buona relazione con te. Guardala con simpatia, accoglila, amala, perché il tuo annuncio del Vangelo non le risulti sterile. Abbi un cuore di padre particolarmente verso i giovani. La nostra epoca è segnata da una seria «emergenza educativa». Lavorare con i giovani è faticoso, richiede fantasia, adattamento e tanto sacrificio. Dedica tempo ed energie per la direzione spirituale e aiutali a scoprire il progetto di Dio su di loro. Il tuo ministero riservi grande attenzione anche alle famiglie. In un contesto culturale e sociale che non aiuta la nascita e la prosperità della famiglia, è più che mai urgente annunciare e testimoniare il «Vangelo della famiglia». Una pastorale familiare ben pensata e coinvolgente incoraggi e orienti particolarmente i giovani e, in modo speciale, i fidanzati alla formazione di famiglie cristiane convinte, sostenga le giovani coppie con iniziative opportune, coinvolga nella vita ecclesiale quelle in situazione irregolare, secondo gli orientamenti pastorali della Chiesa, perché tutti si sentano amati da Dio.
Il tempo che ci attende, carissimi, chiede davvero un coinvolgimento e un supplemento di impegno da parte di tutti per fare quel salto di qualità che da più parti viene invocato: a livello culturale, economico, sociale e anche ecclesiale. La sensazione che ogni sforzo in campo ecclesiale risulti infruttuoso può determinare un atteggiamento di resa. Ma a questa tendenza bisogna con tutte le forze reagire e bisogna ritrovare sempre la capacità di inventare la pastorale dietro le sollecitazioni che provengono dalla complessità della realtà.
Fra qualche giorno i Vescovi della Puglia sigleranno il documento post-convegno ecclesiale regionale, che si è celebrato l’anno scorso a San Giovanni Rotondo, sul tema dell’impegno dei laici nella società di oggi. Nelle varie fasi di svolgimento di quell’evento sempre si è sottolineata la necessità della collaborazione tra presbiteri e laici intesa come corresponsabilità rispetto al tema del comunicare il Vangelo in un mondo che cambia e rispetto alla promozione di un rinnovato protagonismo in campo educativo.
Tutto ciò, naturalmente, può avvenire ad una necessaria condizione: coltivare la preghiera e la solitudine, «luogo» dove si trova il santuario interiore del colloquio con Dio, per rovesciare il primato del fare con quello dell’essere, cosicché venga esaltato lo «stare» con il Signore.
La Vergine Maria, madre di Gesù, madre della Chiesa, e madre dei sacerdoti ci assista e ci accompagni in questa ardua ma esaltante missione.
+ Luigi Martella