Quasi bollettini di guerra

Nota del Sir

I bollettini di borsa sembrano bollettini di guerra: una serie di sconfitte. La vicenda del debito americano si è conclusa con un difficile compromesso tra il presidente e il Congresso e la borsa non ne ha di fatto tenuto conto. Speculare, ed ancora più drammatico, il caso dell’Eurozona e dell’Italia in particolare. Sì, i motivi saranno anche politici, la debolezza dell’amministrazione americana e dei governi europei, ci sarà anche il peso della cosiddetta speculazione. Ma la questione strutturale è la ormai totale deconnessione tra i tempi della politica e quelli della finanza. Non è una questione di oggi, certo. Risale allo sviluppo stesso della ‘globalizzazione’. Ma ora, di bolla in bolla, se ne valutano appieno gli effetti, che ormai per tutti sono imprevedibili. Il tempo breve dei profitti della turbo-economia finanziaria è assolutamente incompatibile con quello delle politiche pubbliche, il solo che produce ricchezza durevole e vera e non di rapina. Tanto più che nel frattempo la politica, in tutti i maggiori Paesi occidentali, si è grandemente indebolita, ha al massimo il respiro di un paio di anni, se va bene aumentati del doppio, nei rari casi di sistemi stabili. Probabilmente per tutta l’estate, ma anche per i mesi a venire, continueremo a compulsare ansiogeni bollettini di perdite borsistiche, che azzerano fortune di carta, ma soprattutto azzoppano ulteriormente il nostro sistema finanziario, insieme alle prospettive di tanti piccoli e medi risparmiatori, che vedono diminuire il proprio capitale, insieme alla prospettive di benessere. D’altra parte la soluzione alla bolla immobiliare e dei subprime americani, trovata nella la costruzione di altre bolle finanziarie, non può portare a null’altro. I rimedi sono strutturali, ma per fare questo occorre una qualità ed una capacità della politica occidentale che non è per il momento ipotizzabile. L’affare libico, dal punto di vista geo-politico e militare e quello del salvataggio della Grecia da quello economico-finanziario stanno a dimostrare una crescente impotenza. Eppure questa resta la via obbligata: solo ci si può chiedere se le democrazie occidentali sono in grado di operare scelte ed azioni nette ed incisive, che tengano conto del fatto che nel XXI secolo quello che si chiamava ‘mercato’ e quello che si chiamava ‘sistema della rappresentanza’ hanno dinamiche e vincoli del tutto nuovi, coi quali occorre fare i conti in modo serio se si vuole nello stesso modo rilanciare il senso, il valore ed i valori della democrazia. Probabilmente l’incalzare della crisi obbligherà a fare i conti con questo scenario strutturale. Intanto occorre ovviamente fare quadrare i conti e nello stesso tempo fare quadrare i conti dell’equilibrio sociale. Non è accettabile per la qualità della democrazia accrescere ulteriormente le distanze sociali. I sacrifici debbono essere commisurati e se è necessario occorre alzare la voce per ricordare questa elementare verità. Di fronte all’abisso del debito pubblico in Italia si ritorna a parlare di patrimoniale. Chi pagherà? Sempre e solo i soliti noti?