“Vorrei avere le ali di un’aquila / e spiccare voli sempre più alti / verso di Te, che sei l’Altissimo/ e non accontentarmi delle basse quote” – Santa Scorese, 3 agosto 1989
Era una ragazza di Palo del Colle, Bari. Sul volto, un sorriso colmo di serenità, di grazia. I capelli corvini acconciati dietro le orecchie. Era votata ai giovani, ai poveri e alla catechesi.
Al giorno d’oggi, Santa Scorese è molto più di un ricordo opaco, amaro: è il simbolo delle donne tormentate, perseguitate e stalkerate da chi si dimostra incapace di tollerare le loro voci fervide e audaci.
Quella di Santa è una morte annunciata. La giovane aveva sostenuto da poco l’ultimo esame della facoltà di Pedagogia. In cuor suo, maturava il proposito di entrare in convento per seguire la strada della missionaria.
Il volontariato occupava gran parte del tempo libero.
Anche quel giorno – il 16 marzo 1991 – aveva assistito una famiglia indigente e si era diretta presso la parrocchia per incontrare i compagni dell’Azione Cattolica. A sera, si era avviata con la 126 di sua sorella verso casa. Una leggerezza, una sbadataggine: non usciva mai da sola da quando il suo molestatore la pedinava come un’ombra.
Il disoccupato trentaduenne le impediva di condurre una vita libera e dignitosa, confondendo l’amore con l’ossessione. Nonostante il fermo rifiuto di Santa, desiderosa di dedicare la propria vita alla ricerca di Dio, lo stalker era una presenza apparentemente intangibile, in realtà tragicamente concreta, fatale. Recavano la sua firma i biglietti trovati sotto la porta di casa o sul parabrezza della macchina. Si legge, in quelle lettere cariche di follia omicida: “Io sono Cristo. Se sei una buona cristiana devi dimostrarmelo e darti a me. La donna è inferiore all’uomo e deve sottostare alla sua volontà”.
Il «no» di Santa ha il sapore dolce della libertà. Vane si sarebbero rivelate anche le denunce del padre, poliziotto. Il reato di stalking non era stato ancora introdotto nel codice penale italiano. Il molestatore era considerato dalla legge un corteggiatore, uno spasimante. Anni prima era stato denunciato per aver importunato una giovane liceale, poi una suora, ma era lasciato libero di girovagare indisturbato tra le strade di Bari.
Quell’ultima sera, l’assassino attendeva Santa sotto casa. Alla sua vista, si era scagliato su di lei per colpirla alla gola, al petto, al ventre. La madre assistette alla scena dal balcone, urlando. Il padre si precipitò in strada per soccorrere la figlia, riversa in un lago di sangue. La corsa frenetica in ospedale si rivelò inutile. Prima di spirare, Santa rivolse uno sguardo d’intesa alla sorella Rosamaria e rinnovò il Fiat a Dio – l’accettazione della Sua volontà. Infine, perdonò il carnefice ed ebbe soltanto il tempo di pronunciare le ultime, dolci parole: “Sono ancora giovane, non voglio morire”.
Morì, invece.
E morì da martire per aver commesso «l’errore» di preferire Dio alla follia del suo stalker. La storia di Santa ebbe eco mediatica da un capo all’altro dello Stivale, e nel 1998 venne aperta la causa che condurrà alla sua beatificazione. La testimonianza della martire raggiunse, tra i tanti Paesi, anche il Brasile. Lì, Chiara Lubich – fondatrice del movimento dei focolari – parlò di Santa come un modello da imitare: “Fino alla vita, fino a dare tutto… Non c’è altra misura”.
Le pagine del suo diario rappresentano ancora oggi un insieme di riflessioni spirituali dal potere catartico e liberatorio.
“Quale libertà deve sentire dentro chi ha il coraggio di dire di sì e di buttarsi a capo fitto nella Tua Avventura tagliando con il mondo di prima. Mi pare di sentire dentro questa gioia solo nell’immaginarlo”.
La libertà di autodeterminarsi non è forse un valore universale? Le parole di Santa non celano, in profondità, un grido di speranza laico e irrinunciabile?
Il 25 novembre è la giornata mondiale contro ogni forma di violenza sulle donne, e la storia della martire italiana è – oggi come allora – una testimonianza che trascende i vincoli religiosi. La sua voce, le sue idee e la sua capacità di rimanere fedele alla vocazione cattolica ci invitano a prestare ascolto a tutte le vittime che, ancora oggi, sono perseguitate e abusate dai propri aguzzini.
Contrariamente alla tradizione del Meridione e per volere della sorella, nel suo ultimo viaggio Santa indosserà un abitino di colore rosso. Rosso come il sangue versato a causa di un’ossessione travestita d’amore, rosso come la passione che l’animò fino all’ultimo giorno della sua esistenza.
Il giorno del funerale era circondata da una folla di giovani venuta a renderle omaggio. Tra loro, i volontari della Croce Rossa, i focolari, le missionarie di Padre Kolbe, la Caritas di Palo del Colle, così come i suoi amici, gli ex insegnanti del Liceo Flacco e gli anziani dell’ospizio a cui aveva prestato soccorso.
Durante la celebrazione, Don Tino Lucariello – padre spirituale della vittima – ribadirà pubblicamente la vocazione di Santa: “Dinanzi all’esplicito invito di testimoniare la propria fede a qualunque prezzo, Santa non ha avuto esitazioni: Qualsiasi cosa mi succeda, io ho scelto Dio”.
Su di lei è stato realizzato, nel 2019, il docufilm “Santa subito” curato da Alessandro Piva. La pellicola ha ottenuto molteplici riconoscimenti, meritandosi la vittoria al XIV Festival del Cinema di Roma.
Quella di Santa è una storia di stalking, conclusasi con un aberrante femminicidio – diremmo oggi. Eppure, la testimonianza della martire è molto di più: un inno alla libertà trasportato dal vento, sopra le nuvole, lì dove soffiano tiepide correnti che consentono a un’aquila fiera e coraggiosa di vivere con amore e per l’Amore.
Franca Maria Lorusso
Luce e Vita del 20 novembre 2022