Una confessione che rattrista

Massimiliano Fasciano*

‘Quando il mondo è senza regole, è un mondo felice?’ Con questa domanda ho voluto esortare a riflettere gli alunni di una mia classe, prossima alla maturità, abitato dalla motivazione di comprendere sempre più il loro mondo, il modo di pensare e vivere, sollecitati da un articolo apparso di recente sul mensile locale ‘Quindici’. Una ragazza molfettese e benestante si racconta segretamente in un bar di Bari. Anzi, piuttosto, confessa laicamente la sua storia di ventenne universitaria, che ha raggiunto il ‘suo equilibrio’ alternando e sdoppiando la propria vita tra studio, passeggiata, scout, parrocchia e vita da escort infrasettimanale, in una grande città. Non le piace pensare a niente in questa vita normalissima – così si racconta – perché fa sport, si tiene in forma, va a messa ogni domenica, è attaccatissima alla nonna, riceve una lauta paghetta settimanale dal padre, a casa non sospettano niente, ha un’agendina per gli appuntamenti opportunamente camuffati tra lezioni universitarie, doppio numero di cellulare e di recente ha fatto carità in una chiesa lasciando 200 euro dei suoi introiti.

È necessario distinguere tra coscienza laica, dove incontro solo l’altro, e quella religiosa, dove oltre a chi mi sta vicino, coltivo e mi lascio modellare dalla relazione verticale con Dio. Ma su cosa fondo la mia dignità di persona creata imago Dei (a immagine di Dio), se scambio la carità col fare elemosina, amalgamata da buoni sentimenti zuccherosi e ipocriti?

Fare la carità o opere di carità spesso è scambiato per buonismo, pietismo, compassione perché forse si spera che il povero, così aiutato, non si rivolti minacciando il tuo benessere. Vivere la carità non è forse impegnarsi anche nel comprendere se in coscienza sto scegliendo liberamente il bene o il male? L’uomo, chiamato ad amare come Lui ci ha Amati (Gv 15,12), è anche colui che liberamente sceglie. La libertà a volte spaventa o angoscia – parafrasando Kierkegaard – e spinge a fuggire, soprattutto se il desiderio di autonomia adolescenziale, che mette in crisi i punti di riferimento dell’infanzia, non ha ceduto il posto all’edificazione del sé attraverso scelte costruttive, libere e responsabili (cfr. Lo sviluppo della coscienza morale di Kohlberg). Si tratta di libertà responsabile quando la persona assume valori autentici per sè stesso e per gli altri, quando è legata alle conseguenze delle decisioni assunte. In prospettiva cristiana l’uomo è libero quando sceglie il bene e lo realizza pienamente secondo il modello proposto da Gesù: ‘Se rimanete nella mia parola, sarete davvero miei discepoli, conoscerete la verità e la verità vi farà liberi’ (Gv 8, 31-36). Ci concediamo troppe libertà che sanno poco di responsabilità e le mimetizziamo con paraventi accomodanti, come se dire che andare all’università, in chiesa e alla nonna liberi la coscienza da responsabilità di fronte al dono della vita e alla capacità di scegliere il Bene, di farsi del bene.

Purtroppo, in un contesto sociale e religioso in cui si ‘segue’ la Chiesa, il Papa o il sacerdote di turno, ma respingendo qualsivoglia etica, l’efficacia educativa è fortemente indebolita, aggravata anche dallo scollamento tra famiglia, scuola e chiesa.

Seppur grato al giornalista che ha saputo inseguirti, rivelando una storia che ci fa riflettere, cara Claudia, ricorda che Gesù ti attende e stringe la tua mano, è sempre vicino a te, non in un bar, ma ovunque tu sia e vada, sempre pronto al tuo ‘ritorno’, pronto a dire anche a te: ‘Questo mio figlio era perduto ed è tornato in vita.’ (Lc 15,24).

Buona strada, scoutisticamente parlando.

 

* direttore del Servizio diocesano di pastorale giovanile