Uniti nella santità

di Ignazio de Gioia

Ricordare il 30° anniversario dell’ordinazione episcopale di don Tonino Bello e il suo ingresso in diocesi è un grande gioia.

L’annuncio della sua nomina a vescovo di Molfetta, Givinazzo, Terlizzi e Ruvo, mi riportò al primo anno di liceo in Seminario Regionale mentri lui, Tonino Bello, frequentava il terzo liceo. Era una figura che spiccava e attirava l’attezione di noi, ultimi arrivati, per la sua intelligenza, per la sua allegria, il suo spirito sportivo e per me, il suo atteggiamento di preghiera e di raccoglimento.

Il 30 ottobre del 1982 partecipai alla sua ordinazione episcopale presieduta da S.E. Mons. Mincuzzi. Fu una celebrazione solenne e ricca di fede e di speranza.

Nella nostra diocesi si formò un comitato di preparazione per accogliere degnamente e fraternamente il novello pastore. In quel tempo ero parroco della Cattedrale e il mio compito era di collaborare con il Capitolo a tutto il programma dell’ingresso in Diocesi.

Il 21 novembre ci fu l’ingresso di Mons. Bello a Molfetta e successivamente nelle altre città.

Il novello Vescovo fu accolto da tantissimi fedeli, sacerdoti religiosi e religiose, seminaristi del Seminario Regionale e Vescovile, autorità civili e militari. Prima di entrare in Cattedrale, sul sagrato, fu salutato dall’arcidiacono Mons. Michele Carabellese che lesse un breve indirizzo di saluto e di augurio nella sicurezza di trovare tutti disponibili a seguirlo con obbedienza filiale, seguì, poi, il saluto del Sindaco Beniamino Finocchiaro.

Si entrò in cattedrale, in solenne processione, accompagnati dalla schola cantorum diretta da don Salvatore Pappagallo.

Tutta la comunità presente in cattedrale partecipò alla celebrazione con grande raccoglimento.

L’omelia fu un annuncio profetico del suo vivere come pastore e padre di tutti. Le sue parole ‘Io sono stato inviato a voi a proclamre che Gesù Cristo è risorto ed è l’unico Re e Signore.

Significa affermare la regalità e la signoria dell’uomo.

Significa rifiutare gli idoli del potere, le suggestioni del denaro, il fascino delle ideologie.

Significa andare contro corrente in un mondo che ogni tanto si popola di nuove divinità e obbliga a prostituirsi davanti ad esse.

Significa conbattere i soprusi dei più forti, le violenze degli arroganti, le assolutizzazioni delle strutture.

Signica contestare la logica della sopraffazione e dell’asservimento dell’uomo all’uomo.

Significa impedire che i criteri dell’efficienza siano il metro per misurare i fratelli.

Significa impegnarsi perché la paura, la solitudine, la disoccupazione, l’odio, la tortura, la strage, l’emarginazione dei deboli, la squalifica degli umili riducano sempre più nel mondo lo spazio della loro presenza deleteria.

Significa affermare la precarietà dell’angoscia, la provvisorietà del dolore, la labilità della malattia, la caducità della morte…’.

‘…Dovrò essere solo io, come Vescovo, ad assumere questo compito così gravoso nei confronti del mondo? Assolutamente no… Questo compito spetta a tutto il popolo di Dio’.

L’omelia suonò come una grande luce che si accese nelle nostre coscienze per darci conto in che mondo viviamo e come porci come chiesa in questa realtà.

Uscimmo da quella celebrazione pensierosi, ma più giovani nello spirito, spinti a riprendere un nuovo cammino di chiesa ricco di speranza.