Vorrei che fosse Natale anche a Gaza e a Betlemme

di Luigi Sparapano

Natale è essenzialmente festa dei bambini e di coloro che hanno occhi limpidi e semplici per vedere oltre il visibile, per scrutare oltre l’orizzonte. Purtroppo non è così per tanti, troppi bambini. Pensiamo a coloro che sono costretti a seguire adulti in fuga o a ritrovarsi soli di fronte a mari sconosciuti: «La crisi dei rifugiati e migranti in Europa è una crisi che colpisce drammaticamente i bambini: dall'inizio dell'anno 215.000 minorenni – 700 al giorno –  hanno cercato asilo nell'Unione Europea» dichiara il Presidente dell’UNICEF Italia Giacomo Guerrera. «Quest'anno, ben 700 bambini sono morti attraversando il Mare Mediterraneo. Questi bambini, come i nostri figli, hanno diritto a crescere sani, a giocare, ad andare a scuola, ad avere un futuro.» 
Parole sacrosante!
Sono circa 30 milioni i bambini che negli ultimi due anni hanno lasciato le proprie case per fuggire da violenze e guerra. Ma ai bambini di Gaza e di Betlemme nemmeno questa disperata possibilità è consentita, se pure lo volessero. Prigionieri nei propri paesi, come topi in grandi gabbie. Ma sempre gabbie sono. Anche loro hanno il diritto a crescere sani, a giocare, ad andare a scuola, ad avere un futuro. Lì la situazione politica non lascia spiragli e quasi ogni giorno – è capitato anche sotto gli occhi di noi giornalisti, delegati Fisc in Terra Santa per documentare i progetti sostenuti dall’8xMille della Chiesa Cattolica – avvengono lanci di pietre tra ragazzi, dispersi dai fumogeni della polizia israeliana.
É del 4 dicembre la notizia di truppe israeliane che hanno assassinato con colpi di arma da fuoco due giovani palestinesi nella città di Al-Khalil.
Secondo l’agenzia palestinese Ma’an i due giovani martiri, Teher Faisal Funun, 22 anni, e Abdul-Monem Funun, di 15 anni, sono stati assassinati nelle prime ore del mattino nel quartiere di Tel Rumeida di Al Khalil. Alcune ore prima, altri due giovani palestinesi erano stati assassinati a Gerusalemme Est. Dagli inizi di Ottobre il regime sionista ha assassinato 113 palestinesi, ma questo non fa notizia.
Gioco, scuola, futuro… a Gaza e a Betlemme  sembrano bestemmie. La parola dialogo sembra essere una chimera e chi ne paga il prezzo più alto sono i più piccoli. Tra loro ci sono i più poveri tra i poveri.
Vorrei che fosse Natale a Gaza, per quei 44 bimbi che le Suore di Madre Teresa, nella loro Casa, accolgono amorevolmente, ciascuno con la sua disabilità fisica o mentale, in ogni modo amato, curato, accarezzato, quando le mamme, e men che meno i papà, non possono farlo.
Vorrei che fosse Natale a Betlemme, per i bambini e ragazzi audiolesi del centro Effatà, voluto da Paolo VI nella storica visita in Terra Santa, dove Suor Piera e la sua fantastica squadra di Sorelle Dorotee (cinque italiane) e di insegnanti, danno realmente voce a chi non l’ha.
Che fosse Natale, comunque, per i 75000 bambini e ragazzi, prevalentemente musulmani, delle scuole del Patriarcato latino e della Custodia francescana, a Gaza come a Betlemme come in altre paesi; delle scuole professionali e dell’oratorio del centro salesiano, a due passi dalla Basilica della Natività.
Che fosse Natale per i piccolissimi dell’Hogar Niño Dios di Betlemme, dove le Suore e i sacerdoti del Verbo incarnato, tengono insieme quei bambini “difettati” – come simpaticamente dice don Mario Cornioli, formidabile ed amabile collaboratore del Patriarcato latino – che nessuno vuole, ma ai quali suore, preti e volontari donano la vita perché almeno qualcuno di quei diritti venga loro assicurato.
Vorrei che fosse Natale a Gaza e a Betlemme.
Che i bambini di quei territori, feriti e oltraggiati anche in nome della religione, abbiano la libertà di crescere, studiare, viaggiare, realizzarsi… e questo non lo si intravede all’orizzonte, nè rimbalza sull’informazione. 
A pensarci bene, quello che i nostri occhi hanno visto e le nostre mani hanno toccato, talvolta increduli e smarriti, che questi bambini percepiscono grazie a persone dal cuore grande, ma che non balza agli onori della cronaca, è avere comunque un cuore che batte per loro, occhi che incrociano i loro sguardi, mani che stringono mani, vite che si donano totalmente, nascoste dietro un sorriso impagabile. Che è già presagio di futuro.
Vorrei che fosse Natale a Gaza e a Betlemme, ma forse per molti bambini lo è ogni giorno. 
C’è speranza, contro ogni disperazione.