La bufera giudiziaria che circa un mese si è abbattuta sulla città di Molfetta, con arresti eccellenti di politici, amministratori pubblici, dipendenti comunali e imprenditori, rivela un quadro desolante delle funzioni pubbliche di appalti, forniture e affidamento di lavori squallidamente svendute in un mercimonio di “mazzette e prebende”.
Al di là delle responsabilità penali dei singoli che saranno accertate dalla Magistratura nelle sedi appropriate, si impone una riflessione sul piano etico dei comportamenti pubblici. Sono lontani dalla nostra cultura i processi sommari di piazza. La Magistratura farà serenamente il suo corso. Non possiamo però tacere la preoccupazione, lo sgomento e l’indignazione per lo scenario di opacità politico-amministrativa che le indagini rivelano.
Riaffiora un malcostume politico che speravamo definitivamente archiviato. Preoccupa molto il cortocircuito di sfiducia tra cittadinanza e politica. Non si può tacere di fronte al declinare di uomini delle Istituzioni in un sistema di sgretolamento di legalità e giustizia, che dovrebbero invece presidiare e difendere. Ancora più grave è il silenzio complice di parte della comunità civile, che sembra rassegnata, assuefatta a certe devianze, in nome di un falso garantismo.
È evidente sul versante istituzionale, la mancanza di uno stile inscritto nel codice deontologico di una politica orientata solo al bene comune, mentre vi è un urgente bisogno di gesti di responsabilità politica che restituiscano serenità, dignità e decoro al Comune di Molfetta. D’altro canto, genera sconcerto il sentire di cittadini che plaudono alle opere pubbliche, considerando come inevitabile prezzo da pagare il sottobosco di procedure amministrative che il quadro accusatorio rivela come “fantasiose”. Così il “quanto” fatto conquista il palcoscenico e il “come” è stato fatto è nascosto, relegato dietro le quinte, anacronistico figlio di un moralismo vissuto con insofferenza.
Questo scenario impone una doverosa reazione civile da parte della cittadinanza attiva di ogni estrazione e di ogni convinzione politica. Vi è bisogno di ritornare a respirare buona politica, politica generativa, politica “arte nobile e difficile” (don Tonino Bello). Vi è un urgente bisogno di rifondare un’etica del “per bene”, dell’onesto, del pulito. Sono da ripiantare i paletti caduti dell’equo, del corretto, perfino dell’opportuno e del buon gusto. Grandi sono le responsabilità che ci attendono. Alla politica locale serve recuperare uno sguardo alto e lungo, non ripiegato sulle beghe e sulle divisioni interne che danno una percezione di frammentazione priva di progettualità. Occorre un lavoro corale di ricostruzione, pur nella differenza di schieramenti e compagini.
Dall’altra parte a noi, come laici della comunità ecclesiale, tocca una responsabilità non meno grande. Fare la nostra parte nel riportare alla coscienza, alla consapevolezza, un popolo che rischia di assuefarsi al malcostume. Dovremmo contribuire a promuovere uno sguardo critico sulla realtà, un rinnovato bisogno di impegno civico, una mentalità nuova, più attenta, meno succube delle logiche dell’opportunismo, più capace di dotarsi di strumenti di partecipazione e controllo. Perché la storia non si ripeta e un altro 7 luglio passi invano. Perché le uniche mani sulla città siano quelle dei cittadini, che promuovono, costruiscono, difendono giustizia, bellezza, cultura, crescita.
Angela Paparella, Segretaria Consulta diocesana delle Aggregazioni Laicali
Cosimo Altomare, Ufficio diocesano Pastorale Sociale e del Lavoro