Arcangelo Michele, Princeps caelestis militiae

di Francesco di Palo

Sin dalle origini del locus longobardo di Terlizzi, la più antica ecclesia mater fu dedicata all’Arcangelo Michele, santo guerriero “nazionale”, da farne il patrono principale e assumerne l’immagine nello stemma civico: il Princeps gloriosissime caelestis militiae sovrasta la porta urbica pronto a difendere la città da nemici e pericoli. La statua in pietra (i resti erratici nella Pinacoteca De Napoli) era posta sul portale dell’antica Cattedrale, opera del famoso architetto e lapicida, doctor scolpendo peritus, Anseramo di Trani. Altra interessante testimonianza, dal forte messaggio politico, è costituita dal bassorilievo, murato sul fianco esterno della Concattedrale: San Michele sullo scudo ostenta lo stemma dell’intransigente arciprete Marino de Martino, che detenne il trono arcipretale per
circa mezzo secolo (1652-1695), distinguendosi nella strenua difesa delle prerogative della chiesa nullius dalle pretese del vescovo di Giovinazzo. Tra le ultime raffigurazioni il tondo di Michele De Napoli collocato sulla cantoria. Fulcro della venerazione nell’antica Cattedrale era la statua, posta al centro del grande retablo: come riferisce il visitatore apostolico e vescovo di Bisceglie fra Antonio Pacecco (1725), l’altare maggiore era “lavorato di legnami intagliati e tutto dorato, in mezzo del quale si osserva la statua di S. Michele Arcangelo, anco dorata, e alla cima del medesimo altare vi sta la statua dell’Ascensione (leggi: Assunzione) di Maria Vergine, dove similmente si vedono altre quattro statue, anco dorate, di S. Nicolò, S. Pietro, S. Paolo e S. Giovanni Evangelista (leggi: S. Giovanni Battista) con serafini tutti dorati” (G. Valente).
L’attuale statua di San Michele Arcangelo, in sostituzione dell’antica, si inserisce pienamente nel clima di rinnovamento architettonico e degli arredi della nuova Cattedrale il cui cantiere, avviato nel 1782, si protrasse sino al 1872 e vide la collaborazione di numerose maestranze e dei migliori artigiani e artisti attivi a Terlizzi. La statua fu scolpita dal terlizzese Giuseppe Volpe (1796-1876) ed è stata recentemente ricollocata al centro del solenne colonnato, che delimita a semicerchio l’area del presbiterio e lo separa dal coro. Fu commissionata da tale Luigia Parisi, “volendo dare un attestato di sua devozione, e religiosità a questo pubblico” ed ebbe originaria collocazione nella chiesa di S. Maria la Nova, allora Cattedrale interina.
L’Arcangelo è saldamente assicurato alla base da ‘anima’ di ferro occultata nell’ampio e svolazzante mantello rosso, annodato all’altezza dei fianchi. Un san Michele adolescente che si libra nell’aria con l’agilità di un ballerino e che sembra appena planato, al punto che quasi si avverte il fruscio delle grandi ali spiegate e definite da accurato piumaggio. È ripreso nell’atto di indicare il male, Lucifero, l’angelo che osò ribellarsi a Dio e fu scaraventato con i suoi seguaci negli abissi. Impugna con vigore l’elsa della spada tenuta minacciosa e ben alta. Sul braccio sinistro doveva trovare collocazione lo scudo, con la scritta Quis ut Deus, probabilmente andato perduto. Oltre che dal manto gonfio d’aria, movimento e slancio sono esaltati dal corto gonnellino, mosso da fitte pieghe e ornato di stringhe orlate d’oro, elegante torsione del busto, piumaggio dell’elmo, gamba destra nel vuoto. Di notevole effetto e bellezza alcuni particolari quali la lorica a squame ricoperta d’argento, attraversata diagonalmente dalla sfarzosa fascia tempestata a similitudine di pietre dure; il vento spinge all’indietro la capigliatura, superbamente intagliata, che scende fluente in vaporosi riccioli.
L’espressione bonaria è allo stesso tempo pensosa, quasi assorta come a meditare la sorte dell’umanità, sempre in bilico tra bene e male, perennemente insidiata dal maligno: per questo lo sguardo va dritto al devoto al quale indica, per ammaestramento, l’angelo discacciato, esortando a guardarsi dalle lusinghe del peccato e dal sentimento dell’invidia.
Il maligno qui assume, secondo un’iconografia che a Napoli trova illustri precedenti nei dipinti di Luca Giordano, forme umane: gli occhi sgranati e atterriti, la lingua fuori della bocca, orecchie ferine e due corni tra radi e nerissimi capelli, le dita di mani e piedi terminanti in artigli, lunga coda equina; con la mano destra pare difendersi dal colpo di sciabola che sta per abbattersi. Si dimena tra lingue di fuoco e tizzoni ardenti allusivi all’Inferno.
Per un immediato confronto esso è accostabile, più che allo strepitoso San Michele (1718) di Gennaro Franzese a Bitonto, alla bella statua di Nicola Fumo (1649-1725) di Orsara di Puglia.
Stringenti le analogie con il San Michele di Gallipoli opera di Giuseppe Sarno (not. 1764-1820). Per l’impostazione, quasi in bilico sul demonio, possiamo istituire un confronto diretto anche con la statua d’argento (1691) nella Cappella del Tesoro di San Gennaro, opera di Giovan Domenico Vinaccia su modello di Lorenzo Vaccaro, che per bellezza e novità costituì il modello ispiratore per schiere di scultori, anche “legnauoli”. Il motivo del manto che scende dalla spalla per adagiarsi al suolo assolvendo la funzione di sostegno, torna nel San Michele (1717) di Bitetto, anch’esso d’argento. La statua di Vinaccia non poteva che essere conosciuta dal Volpe se ammettiamo la sua permanenza a Napoli, presso la bottega di Francesco Verzella. Ma è ancora una volta una statua proprio del Verzella, il San Michele Arcangelo per la chiesa dell’Immacolata a Catanzaro, a costituire il modello ispiratore diretto, ulteriore conferma dell’apprendistato o specializzazione dello scultore terlizzese presso il prestigioso atelier napoletano.

© Luce e Vita n. 30 del 30 settembre 2018