“Per un sacerdote che nasce in cielo, un’altro nasce sulla terra”

L'omelia per la messa dell'ordinazione

“Per un sacerdote che nasce in cielo, un'altro nasce sulla terra”.
Con queste parole, pronunciate a margine dell'omelia, Mons. Luigi Martella ha accostato il dono del sacerdozio di don Salvatore Mellone, dell'arcidiocesi di Trani Barletta Bisceglie, morto nel primo pomeriggio di lunedì 29 giugno, con quello di don Ignazio Gadaleta, della nostra diocesi, che nella stessa serata, solennità dei santi Pietro e Paolo, è stato ordinato presbitero.
Il seminarista barlettano di 38 anni, malato terminale, ordinato sacerdote lo scorso 16 aprile, autorizzato dal Papa in tempi rapidi per l’evolversi della sua malattia. Papa Francesco aveva chiamato il seminarista e gli aveva detto: “La prima benedizione che darai da sacerdote la impartirai a me”.

Grande festa per la diocesi di Molfetta Ruvo Giovinazzo Terlizzi che accoglie, quindi, il dono di un novello sacerdote.
Di seguito pubblichiamo l'Omelia pronunciata da Mons. Luigi Martella e una fotogallery dell'evento.

«Al crepuscolo di una giornata in cui la Chiesa onora i due apostoli più rappresentativi – Pietro: “roccia su cui Cristo fonda la Chiesa, Paolo “apostolo delle genti” – noi siamo riuniti in preghiera nella nostra Cattedrale, per un evento di grazia, mediante il quale si rende ancora visibile l’amore di Dio per gli uomini. Un giovane del nostro popolo, Ignazio Gadaleta, sarà ordinato sacerdote. Egli, oggi, saprà, definitivamente, qual è il destino della sua vita, il programma del suo itinerario esistenziale, l’emozionante progettualità alla quale consegnerà, per sempre, i suoi anni avvenire.
Pietro e Paolo, colonne del cristianesimo, danno il senso profondo del ministero al quale ogni sacerdote è chiamato. Proclameremo fra poco nel prefazio della messa: “Tu (Signore) hai voluto unire in gioiosa fraternità i due santi apostoli: Pietro, che per primo confessò la fede nel Cristo, Paolo, che illuminò le profondità del mistero; il pescatore di Galilea che costituì la prima comunità con i giusti di Israele, il maestro e dottore, che annunziò la salvezza a tutte le genti”. Così non si può capire la missione di Pietro se non ci si rifà a quel dialogo sul lago di Tiberiade, quando Gesù chiamò in disparte l’apostolo e gli disse per tre volte: “Simone di Giovanni mi ami tu?”. E Pietro, tutto tremante, consapevole delle sue debolezze, ha risposto: “Tu lo sai Signore che ti amo”. In seguito alla triplice conferma, il Signore gli affida il compito: “Pasci i miei agnelli, pasci le mie pecorelle”. Avviene la medesima cosa per ogni sacerdote. C’è un tempo in cui il giovane conosce il Signore, è attratto, è affascinato, un tempo di dialogo, un tempo di scoperta: è il tempo della formazione, il tempo del seminario – lunghi anni di riflessione durante i quali si verifica la volontà di appartenere totalmente al Signore. Poi c’è la chiamata definitiva: “Mi ami?” e dunque la risposta: Eccomi! Quella che abbiamo sentito poc’anzi. Una risposta libera, convinta e gioiosa. Alla chiamata, e alla conseguente risposta, seguirà la consacrazione. Fra poco, infatti, sarai ordinato mediante l’imposizione delle mani e l’invocazione dello Spirito; sarai unto con il crisma e dunque conformato a Cristo Sommo ed Eterno Sacerdote. Infine, sarai abilitato alla missione, cioè sarai mandato ad esercitare il ministero.
Non meno eloquente per la missione del prete è l’esperienza di Paolo, il quale afferrato da Cristo è divenuto l’irresistibile “apostolo delle genti”, affrontando ogni sorta di difficoltà e traversie. Anche per lui, Cristo fu l’unica ragione di vita: “Mihi vivere Christus est” (per me vivere è Cristo).
D’ora innanzi, caro don Ignazio, anche per te, l’unica ragione della tua vita non può essere altro che Cristo. Un Cristo che tu incontrerai nei fratelli, in quelli che ti mostrano vicinanza e anche in quelli che aspettano da te gesti di prossimità; in quelli che ti gratificano con la loro simpatia e in quelli che non hanno confidenza con le cose di Dio; in quelli nei quali troverai il sostegno della condivisione di fatiche e di speranze e in quelli che sono feriti e attendono conforto, misericordia, perdono; nei malati, sofferenti, poveri, in coloro che vivono ai margini e nelle periferie esistenziali, nei quali maggiormente il Cristo si immedesima. 
Come dev’essere il prete? Si domandava papa Francesco in un’omelia a Santa Marta qualche mesetto fa. “La forza di un sacerdote – ha ricordato il Pontefice – è nel rapporto personale con Gesù”, ed ha aggiunto con parole forti: “Noi siamo unti per lo Spirito – e quando un sacerdote si allontana da Gesù Cristo invece di essere unto, finisce per essere untuoso”. Non è, pertanto, un’espressione ad effetto quando si dice che la prima opera pastorale del prete è la cura spirituale di se stesso. Dare il primato a Dio nelle vita significa per un sacerdote riuscire a sentire con il popolo, significa portare una parola vera, attuale, fresca, che diffonde la fragranza di un profumo celestiale.
Oggi, lo dico a me stesso innanzitutto, a tutti i sacerdoti e lo dico a te questa sera, caro don Ignazio, dobbiamo renderci interpreti di questa ansia missionaria (chiesa in uscita) sollecitata a più riprese da papa Francesco, altrimenti c’è il rischi che il treno della storia passi lasciandoci fermi, rischiando di dare il volto di una chiesa autoreferenziale, non più capace di irraggiamento missionario.
Il programma, come vedi e come già sai non è facile, ma tu ormai sei ben attrezzato per correre questa avventura. Ti potrà essere di grande aiuto sapere che non sei solo. Fra poco, ci sarà un gesto molto significativo. L’abbraccio innanzitutto col vescovo e poi con tutti i sacerdoti, Tale gesto non è un fatto solo rituale ma ha un profondo significato teologico e spirituale. Sarai abbracciato dalla tua nuova famiglia, quella della presbiterio, che non ti separa dalla famiglia naturale, ma questa nuova famiglia ti accoglie per un’avventura esaltante, l’avventura stessa di Dio che vuole salvare l’umanità.
Sicuro, pertanto, dell’affetto e soprattutto della preghiera di tutti noi (familiari, amici, parenti, convenuti a questa solenne celebrazione), sii il benvenuto in questa nuova famiglia. Con te e per te invochiamo l’aiuto della Vergine Maria, regina degli apostoli, che ha dato le sue carni e la sua vita al seme di una nuova umanità.»
 
 
                                                                                             + Luigi Martella