San Rocco a Roma: La Misericordia.Tradizione e iconografia nell’arte italiana

di Francesco di Palo

É aperta dal 30 maggio la mostra, a Roma, Musei Capitolini, La Misericordia, Tradizione e iconografia nell’arte italiana promossa dalla Santa Sede, il Comune di Roma e il Centro Europeo del Turismo, in occasione del Giubileo Straordinario 2016 indetto dal Santo Padre.
Il tema della Misericordia, proprio perché costituisce il cuore del pensiero cristiano, è stato oggetto di tante opere d’arte, da dipinti a sculture, da miniature a incisioni, che raffigurano da una parte la Madonna della Misericordia, cioè la Vergine che protegge con il mantello il popolo cristiano, dall’altra le Opere di Misericordia Corporali, che Cristo enuncia (Vangelo di Matteo, 25, 35-36) e che il buon cristiano deve compiere.
La mostra, dunque, esporrà varie testimonianze artistiche dedicate al tema della Misericordia, suddividendo il percorso in quattro sezioni (La Madonna della Misericordia, Piero della Francesca e Caravaggio, Le sette opere di misericordia corporali, Le sette opere di misericordia spirituali)
Accanto ad opere di assoluto prestigio e di artisti di prima grandezza (tra cui Perugino, Sassetta, Pietro e Gian Lorenzo Bernini, Jacopo della Quercia, Reni, Caravaggio, Schedoni, Vasari, Canova e altri), sarà presente – unica opera proveniente dalla Puglia – anche la splendida statua d’argento del San Rocco della Concattedrale di Ruvo, opera eseguita nel 1793 dall’argentiere Biagio Giordano (not. 1774-1793) su modello del grande scultore napoletano Giuseppe Sanmartino (1720-1793).
La statua è tra i capolavori dell’arte argentaria napoletana del Settecento ed esprime tutta la devozione del popolo di Ruvo per il santo di origini francesi, ma morto presso Piacenza dopo aver contratto egli stesso la malattia dai malati che curava, elevato a protettore di Ruvo e implorato sin dal XVI secolo per scongiurare le assai frequenti epidemie di peste.
La committenza dell’opera, infatti, va collocata nell’ambito del Capitolo cittadino e fu forse dettata da voto pubblico a seguito della recrudescenza di una delle ultime pestilenze o per l’affacciarsi della nuova e ancor più temuta epidemia di colera.
Infatti, ad onta della notorietà della statua di Sanmartino, “una delle sue opere più delicate e ricche di sentimento”, sono ancora scarsamente note le vicende della sua realizzazione stante, ad oggi, il silenzio dei documenti.
La qualità formali e le caratteristiche della scultura conducono senza margini di dubbio ai modellati intensi del plasticismo marmoreo di Giuseppe Sanmartino che con la Puglia ebbe un rapporto privilegiato sin dagli esordi della sua sfolgorante carriera artistica, sostanziato dalle numerose opere a cominciare da quelle inviate per la Cattedrale di Monopoli (1750), poi per la Cattedrale di Foggia (1767), la Collegiata di Martina Franca (1770). Sue le splendide sei statue del Cappellone di San Cataldo nella maggiore chiesa tarantina, ultimate nel 1773, ciclo completato a fine carriera con l’aggiunta di altre due statue per le nicchie del vestibolo, San Gualberto e San Giuseppe.
Il santo è raffigurato nel vigore degli anni, volto espressivo nella cornice dei capelli mossi e a ciocche, tutt’uno con la barba fluente anch’essa di notevole effetto chiaroscurale e pittorico. Volto e mani vibranti, queste ultime segnate dalla naturalistica resa delle vene rilevate, sono ottenuti a getto. Veste la mantellina dei viandanti sulla quale sono appuntate le due valve di conchiglia, simbolo del viaggio di fede a Compostela. Il braccio si dilata nello spazio e con la mano sostiene saldamente il bordone uncinato. Il braccio destro scende lungo il fianco e la mano agguanta la veste, sollevata per liberare la gamba, leggermente flessa e con il ginocchio avanzato, lasciando vedere l’ulcera da peste, collocata, fatto iconografico alquanto inconsueto, non all’inguine ma a metà coscia. Superfluo sottolineare il raffinato gioco della stoffa rappresa e che si frastaglia in pieghe profonde, di grande plasticismo. I piedi sono calzati e alla sinistra trova collocazione il proporzionato cane, con la pagnotta tra i denti allusiva alla cura che il mite animale ebbe per il santo cui, negletto e ammalato, recava quotidianamente il pane sottratto alla mensa del ricco signore piacentino Gottardo. Il ‘bastardino’, di particolare naturalismo e tenero allo stesso tempo, seduto sulle zampe posteriori, presenta le lunghe orecchie dalla ben definita peluria.
 
(Luce e Vita n.22 del 29 maggio 2016)