Le parole vengono a mancare guardando sui media le immagini di Kabul. Strazianti le scene di bimbi affidati oltre i fili spinati. I muri da valicare. Gli aerei assaliti. I giornalisti e dissidenti ricercati di casa in casa. Su tutti, il volto di Zaki Anwari, 19 anni, povero ragazzo afghano, giovane promessa del calcio afghano, aggrappato con tutte le forze al carrello di un Boeing statunitense in partenza da Kabul, nel disperato tentativo di scappare dal regime talebano e cercare un futuro migliore in America.
Siamo nel terzo millennio. L’era della globalizzazione. Dei viaggi turistici nello spazio. Dello sviluppo tecnologico avanzato. Ma è anche l’era di profonde disuguaglianze. Di indicibili disumanità.
Mancano le parole, ma tutti parlano. Tutti i politici si collocano sul lato opposto delle responsabilità. Tutti pontificano e fanno analisi perfette sulla carta o dietro gli schermi.
“Quello che succede in Afghanistan è una vergogna di cui l’Occidente è responsabile ma anche noi siamo responsabili, anche il Paese che io amo è responsabile perché siamo stati lì, abbiamo fatto i cortigiani di grandi potenze e ora li lasciamo in una situazione drammatica che è davanti gli occhi di tutti”. Queste le parole di don Luigi Ciotti sulla questione Afghanistan che faccio mie. Nostre.
Intanto che le Istituzioni compiano passi possibili, opportuni e urgenti, a noi tocca risparmiare parole vuote. Risparmiare la comoda retorica di parole e immagini sui social. E prepararci all’accoglienza secondo quanto sarà necessario e possibile. Anzi facendo l’impossibile, nella convinzione, se ancora non fosse chiaro, che siamo tutti connessi e interdipendenti. Che lo si voglia o meno.
Le parole che possiamo concederci sono quelle da volgere a Dio, al Dio di ogni uomo e donna, domenica prossima come ogni giorno, perché illumini gli occhi e il cuore di chi si fa padrone della vita e della libertà altrui.
Luigi Sparapano
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