Amare il tempo in cui si vive

di Paolo Bustaffa

‘ Il laico è un uomo che sa che il mondo esiste’.

Giuseppe Lazzati, di cui il 18 maggio ricorreva il 25° anniversario della morte, citava volentieri questa espressione del cardinale e teologo francese Yves Congar e la commentava dicendo che ‘le definizioni più semplici spesso sono le più profonde’.

Precisa, il rettore che guidò per 15 anni l’Università Cattolica (1968-1983), che ‘sapere’ non solo è conoscere a fondo la realtà ma è assumere con competenza l’impegno di farla crescere e aprirla a orizzonti di verità e di libertà.

Lazzati anche oggi ricorda che i laici, ‘mentre costruiscono la città dell’uomo, scoprono tutte le possibilità evangeliche nascoste nella realtà per farle emergere’.

Scoprire e far emergere le tracce di Vangelo che sono nel mondo è una tra le più belle avventure di un laicato che intende collocarsi in una posizione di responsabilità e maturità nella Chiesa e nella società: un laicato che sceglie di stare con amore dentro la storia e guarda il suo svolgersi, spesso tumultuoso, con gli occhi di Dio.

Da una parte, dice alla Città le ragioni della speranza cristiana e, dall’altra, porta nella comunità cristiana le preoccupazioni e le attese della Città.

Questo laicato c’è anche oggi e cammina ogni giorno nella Chiesa e nel mondo con il passo e con lo stile del Vangelo, con il passo e con lo stile del Concilio.

Non è il gigante addormentato che qualcuno ancora oggi si attarda a evocare sterilmente. Non è una presenza rumorosa, non è fatto di personaggi che bucano il video ma è una grande realtà di uomini e donne che ogni giorno tengono insieme la Città e la Chiesa, co-struiscono ponti tra l’una e l’altra.

Bisogna stare di più sul territorio per conoscere questa presenza, questa fatica, questo impegno e questo pensiero.

Nel camminare sulle strade del mondo dice Lazzati, ‘il laico cristiano deve saper evitare due errori: l’integrismo e il clericalismo, quasi bastasse la fede, la dimensione soprannaturale, mentre questa non è che l’anima della dimensione naturale dell’uomo; il naturalismo, o laicismo, come se la natura da sé, senza l’animazione della grazia, fosse capace di realizzare totalmente le proprie potenzialità’.

È la fede pensata, quindi vissuta, a impedire i due errori e, soprattutto, ad alimentare la coscienza del laico cristiano nel suo abitare la città.

Questi temi cari a Lazzati si sono incrociati nei giorni scorsi con due messaggi autorevoli.

Il primo è di Benedetto XVI a Venezia: ‘…raccomando anche a voi, come alle altre Chiese che sono in Italia, l’impegno a suscitare una nuova generazione di uomini e donne capaci di assumersi responsabilità dirette nei vari ambiti del sociale, in modo particolare in quello politico’.

Il secondo messaggio è del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano: ‘Non si può crescere, non si può avere soddisfazione nella vita, se non si è animati da alcuni grandi valori e se non ci si impegna a realizzare degli obiettivi, non solo personali ma comuni a tutti’.

Parole che invitano a non rassegnarsi di fronte allo smarrimento della cultura politica. Ed è proprio di fronte a tanta fragilità che il pensiero di Lazzati si rivela in tutta la sua feconda attualità.

‘Bisogna amare il tempo in cui si vive – afferma – con quell’intelligenza critica che sa cogliere ciò che vi è di buono e ciò che va evitato, impegnandosi a potenziare ciò che è valido, da qualunque parte venga, anche da coloro che sono ideologicamente e politicamente diversi, sapendo che il nostro compito è quello di potenziare la verità’.

Amare con coscienza critica il tempo in cui si vive e potenziare la verità: ecco l’appello che, a 25 anni dalla morte, Giuseppe Lazzati rilancia.

Occorre riprenderlo e coniugarlo con le sfide di questo nostro tempo.

Occorre riproporlo, non solo con le parole, alle nuove generazioni perché, nella loro ricerca di un nuovo pensare e agire politicamente, avvertano la presenza di un maestro e di un padre.