Carissimi,
abbiamo da poco celebrato la Festa dell’Epifania, la festa dei cercatori di Dio. Di coloro che, come ha detto il Santo Padre, non seguono stelle abbaglianti, meteore che «brillano per un po’, ma si schiantano presto e il loro bagliore svanisce. Sono stelle cadenti, che depistano anziché orientare. La stella del Signore, invece, non è sempre folgorante, ma sempre presente; è mite; ti prende per mano nella vita, ti accompagna. Non promette ricompense materiali, ma garantisce la pace e dona, come ai Magi, “una gioia grandissima” (Mt 2,10)».
Quale luce seguono i nostri fratelli migranti e rifugiati? Quale luce segue il «forestiero che bussa alla nostra porta?».
è il Santo Padre stesso che, rifacendosi al vangelo, capovolge la prospettiva: mentre i migranti vedono in noi la luce del benessere, di una vita più serena, di un progetto di vita per cui rischiano la vita e la morte, non sapendo che forse inseguono una meteora, loro sono per noi la nostra stella. Sono «un’occasione di incontro con Gesù Cristo, il quale si identifica con lo straniero accolto o rifiutato di ogni epoca (cfr Mt 25,35.43)». Comprendiamo quanto sia sacrosanto provvedere a dar corpo ai quattro verbi della giornata odierna: accogliere, proteggere, promuovere e integrare.
Commento il messaggio del Papa – su cui rifletteremo abbondantemente durante la prossima veglia per la pace, il 28 gennaio a Terlizzi, alla quale invito calorosamente tutti gli uomini di buona volontà – dal carcere di Trani, dove tanti nostri fratelli sono costretti a intravedere dalle sbarre la luce della libertà, del ritorno ai propri cari, della rinascita ad una vita più dignitosa.
Lo rileggo, pensando alle ragazze straniere, vittime della tratta, schiave dei nostri vizi, sulle quali il nostro settimanale sta facendo luce perchè si comprenda fino in fondo la sventura che si ritrovano a vivere proprio perchè le luci che inseguivano si sono rivelate meteore accecanti. Anche per colpa nostra.
Medito sulle parole del Papa – «Il Signore affida all’amore materno della Chiesa ogni essere umano costretto a lasciare la propria patria alla ricerca di un futuro migliore» – e penso ai numerosi migranti che dimorano nelle nostre campagne, tra i ruderi di vecchi edifici, accampati ai margini delle nostre strade, mentre noi procediamo per i nostri affari, anche religiosi.
Rifletto sui quattri verbi «accogliere, proteggere, promuovere e integrare» e mi chiedo se, nonostante i grandi sforzi e le importanti iniziative che mettiamo in atto nei diversi Comuni, come Chiesa locale stiamo facendo abbastanza per declinarli correttamente, secondo una progettualità pensata e condivisa, e non lasciata alla buona volontà di pochi.
Mi chiedo cosa ne sia stato dell’appello del Papa rivolto ad ogni parrocchia ad aprirsi almeno ad accogliere una famiglia…
Ma le mie riflessioni sono piene di fiducia e di speranza perchè, accanto a quanto già riusciamo a fare, non mancano idee e progetti su cui concentrarci. Servirà confrontarsi maggiormente, sintonizzarsi, avere chiare prospettive e condividere scelte e metodo.
Sento però di richiamare me e voi tutti a tenere fissi gli occhi sulla luce, sulla vera Luce, senza lasciarsi distrarre da meteore luccicanti e attraenti quali possono essere i punti di vista personali, la tentazione di «servirsi più che servire» i migranti, la carità vissuta come elargizione di servizi e non condivisione di storie.
Ci aiuti in questo il Servo di Dio Antonio Bello, affinchè le sue intuizioni e la sua personale testimonianza in favore dei migranti non siano per noi spunti per fare discorsi, ma occasioni di impegno, piste di lavoro, orme da continuare a calcare perchè dirette verso la vera Luce.
Mons. Domenico Cornacchia, vescovo