Dagli esordi del suo pontificato, Giovanni Paolo II esortava indicava i pericoli di uno sfruttamento sconsiderato dell'ambiente ed esortava a una conversione

Giovanni Paolo II e l’importanza di una conversione ecologica

Nella "Redemptor hominis", Giovanni Paolo II già si chiedeva se tutto il progresso dell'uomo rendeva la sua vita davvero più umana.

Se papa Francesco può esser definito l’uomo della conversione ecologica, parte delle attenzioni pastorali a questa dimensione si deve a Giovanni Paolo II, uno dei promotori della relazione simbiotica tra uomo e natura.

Forse ha viaggiato tanto, proprio per godere della maggior parte della bellezza della Terra, dopo aver conosciuto le brutture della guerra o forse per andare alla ricerca di Dio in ogni dove. Nei panorami davanti ai quali si resta incantati risiede la grazia del Signore, che per noi compie sempre meraviglie, anche se non ne siamo coscienti fino in fondo.
Dal silenzio della natura scaturisce la preghiera quale forma di ammirazione e si insinua così nel cuore umano il desiderio di infinito, che solleva la mente al sublime. Ne era certo Giovanni Paolo II, quando con suggestione poetica parlava in un viaggio del 1987 in Val Visende. 

Anche lui era consapevole della necessità di una razionale e onesta pianificazione, come scrisse nella sua prima enciclica “Redemptor hominis”, in contrasto con uno sfruttamento indiscriminato del pianeta, tanto che tale sfruttamento per scopi non soltanto industriali, ma anche militari, lo sviluppo della tecnica non controllato né inquadrato in un piano a raggio universale ed autenticamente umanistico, portano spesso con sé la minaccia all’ambiente naturale dell’uomo.

Giovanni Paolo II sapeva comunicare le sue inquietudini, prima fra tutte quella sull’avanzamento del sapere e dell’azione dell’uomo: questo progresso, il cui autore e fautore è l’uomo, rende la vita umana sulla terra, in ogni suo aspetto, «più umana»? E di qui, gli altri interrogativi: crescono davvero negli uomini, fra gli uomini, l’amore sociale, il rispetto dei diritti altrui – per ogni uomo, nazione, popolo – o, al contrario, crescono gli egoismi di varie dimensioni, i nazionalismi esagerati, al posto dell’autentico amore di patria, ed anche la tendenza a dominare gli altri al di là dei propri legittimi diritti e meriti, e la tendenza a sfruttare tutto il progresso materiale e tecnico-produttivo esclusivamente allo scopo di dominare sugli altri o in favore di tale o talaltro imperialismo?

Domande essenziali, che soprattutto i cristiani devono porsi, perché consapevoli del dono che Dio ha fatto ad ogni uomo e dunque chiamati ad essere custodi della bellezza e della ricchezza ricevute. Non sarà stato un caso che durante il pontificato di Giovanni Paolo II, San Francesco di Assisi fu dichiarato “patrono dei cultori di ecologia”. Era la domenica di Pasqua, 6 aprile 1980, quando con una speciale Bolla, il Papa gli attribuì anche questa “onorificienza” (a seguito di una petizione promossa dal cardinal Oddi, tra figure del mondo cattolico e non solo). Riporta il testo: tra i santi e gli uomini illustri che hanno avuto un singolare culto per la natura, quale magnifico dono fatto da Dio all’umanità, viene meritatamente annoverato San Francesco d’Assisi. Egli, infatti, ebbe un alto sentimento di tutte le opere del Creatore, e quasi supernamente ispirato compose quel bellissimo Cantico delle Creature, attraverso le quali, in particolare frate sole e sorella luna e le stelle, diede all’onnipotente e buon Signore, la dovuta lode, gloria, onore e ogni benedizione.

Già 40 anni fa il “problema” ecologico era sotto l’attenzione delle parti politiche, mediatiche ed ecclesiastiche. Solo che tutt’oggi non si riesce ad attuare quella conversione che già Giovanni Paolo II desiderava e che avrebbe coinvolto l’uomo in tutte le sue dimensioni.
Ancora nella “Redemptor hominis” scriveva: su questa difficile strada, sulla strada dell’indispensabile trasformazione delle strutture della vita economica non sarà facile avanzare se non interverrà una vera conversione della mente, della volontà e del cuore. Il compito richiede l’impegno risoluto di uomini e di popoli liberi e solidali.

La chiave sta tutta in quella solidarietà fra popoli che ancora non siamo capaci di realizzare, presi dagli interessi particolari che ci impediscono di guardare gli altri come fratelli, dunque destinatari delle nostre stesse possibilità e risorse. Ma i grandi cambiamenti cominciano sempre con piccoli impegni e cambi di prospettive. Le sollecitazioni a “invertire” le tendenze e le deviazioni consumistiche sono numerose; spetta a ciascuno decidere quando dare avvio a una vera e propria conversione, che porti nuovi atteggiamenti e, di seguito, ad azioni nuove o rigenerate.

Coraggio, allora, prendiamo in mano la nostra vita (e quella dei nostri fratelli) e facciamone un capolavoro!

Susanna M. de Candia