Giovanni Paolo II: luce dell’amore di Dio

di Luigi Sparapano

L’emozione e le lacrime provate di fronte alla televisione non sono state meno intense rispetto a quanti erano presenti fisicamente nella festosa piazza San Pietro, domenica 1° maggio, per la beatificazione di Giovanni Paolo II. Piazza che abbiamo sentito più nostra anche perché impreziosita dalla splendida scenografia allestita con la laboriosa e originale arte floreale terlizzese, della quale la nostra diocesi non può che essere orgogliosa.

Mons. Martella, presente alla concelebrazione, riferisce di un «brulicare di giovani e persone di ogni età che nonostante i numeri indefiniti di presenze, lasciavano trasparire un clima di intensa preghiera, di partecipazione sincera e affettuosa, non di un’emozione collettiva. Era fede vera!».

La beatificazione, voluta fortemente da Benedetto XVI restituisce papa Wojtyla alla Chiesa, al mondo e ad ogni singola persona di buona volontà, quale specchio di santità in cui riflettersi e ritrovarsi. Non avrebbe altro senso una tale proclamazione. Non è l’esaltazione di un mito o un eroe, come alcuni cronisti e media l’hanno artatamente dipinta. Non è l’esercizio di una anacronistica egemonia ecclesiastica che si intende riproporre. La Chiesa non fa i santi, soltanto li riconosce e li presenta ai suoi fedeli e al mondo come luce riflessa della santità divina perché ciascuno ne sia avvolto.

Giovanni Paolo II è questo splendido e policromo prisma di luce che può continuare ad illuminare le nostre vite, che ha aiutato e può ancora aiutare a scandagliare gli angoli nascosti delle nostre storie personali, ecclesiali, sociali, culturali e politiche. Che può rilanciare l’anelito ad una visione del mondo aperta, non ripiegata, attenta a superare le contraddizioni e le contrapposizioni individuali e nazionali.

Dedicandogli la copertina dello scorso numero di Luce e Vita, abbiamo voluto riconoscere Giovanni Paolo II come il papa delle Beatitudini: uomo della povertà in spirito e dell’umiltà, nonostante le doti umane e intellettuali; uomo del pianto e della mitezza; profeta di giustizia e immagine del padre misericordioso; puro di cuore e strenue operatore di pace; perseguitato e colpito per la sua opera di giustizia.

La risonanza che ha avuto nel mondo intero la sua beatificazione ne è prova.

«Giovanni Paolo II è beato!». L’esultanza di Benedetto XVI, all’atto di proclamazione, ha dato voce all’esultanza dei nostri cuori. Il nostro Vescovo, testimone «della gioia del Papa e delle lacrime dei confratelli Vescovi al momento del disvelamento dell’arazzo» interpreta questo evento come «un segno dall’Alto che si attendeva e che è arrivato».

Quale spinta darà alla Chiesa questa beatificazione? Don Gino è convinto che «proprio quel leit motiv di inizio pontificato ‘Aprite, anzi spalancate le porte a Cristo!’ viene ora rilanciato come stile della testimonianza cristiana necessaria in questo tempo».

Questa beatificazione, non nascondo, ha prefigurato quella esultanza che potremo esprimere anche noi quando i nostri servi di Dio, don Ambrogio Grittani e don Tonino Bello, quest’ultimo straordinariamente accostabile alla figura del papa beato, saranno anche loro riconsegnati alla Chiesa e al mondo nella loro Beatitudine. Lo conferma il vescovo don Gino: «Siamo incoraggiati ad andare avanti; è certamente uno stimolo che dà più vigore e che alimenta la fiducia che il nostro lavorò sarà premiato. Di don Ambrogio, e ancor più di don Tonino, non saranno i singoli eventi o prese di posizione a determinarne la santità, quanto piuttosto occorrerà puntare sulla santità del pastore, sulle virtù umane e cristiane globalmente riconosciute».

Ci attendiamo quindi un rinnovato slancio.

Abbiamo bisogno di questi raggi di luce perché abbiamo bisogno di vedere che è possibile vivere il vangelo, è possibile farlo in ogni stato di vita e condizione sociale. A chi indugia ancora in vacui confronti tra pontefici, vescovi, persone ‘ questa beatificazione, e l’esultanza di Benedetto XVI, insegnano che ciascuno è chiamato non ad attardarsi a delineare le ombre che si crede di vedere nell’altro, ma, nella diversità delle esperienze, a far brillare la luce vera che è in ciascuno. E soltanto nella fusione indistinguibile dei diversi raggi di luce che è possibile lasciar risplendere la luce di Dio.