Ho una bella notizia: io l’ho incontrato!

di Pietro Rubini

 

Non è uno slogan ma una bella notizia ad accompagnare quest’anno la 47a Giornata Mondiale di preghiera per le Vocazioni: la bella notizia di un incontro speciale che ha acceso d’amore la vita di tante persone. Il Vangelo, che è come un album di fotografie dei grandi incontri tra Cristo e l’uomo, documenta questa incantevole verità: è Cristo che cerca la collaborazione umana; è Cristo che tenacemente chiama; è Cristo che, nonostante i tradimenti firmati dall’uomo, ha il coraggio di incontrarlo e di dirgli ancora: «Tu, seguimi!» (Gv 21,22).

A volte chiama direttamente, spesso, invece, attraverso la testimonianza di quanti hanno sperimentato la bellezza di averLo conosciuto, di averLo seguito, di averLo accolto nella casa del cuore. Quando l’esperienza unica dell’incontro con Cristo viene coerentemente testimoniata, può condurre altri allo stesso incontro. Non a caso Papa Benedetto, nel suo messaggio per questa giornata, ribadisce con una certa insistenza che la testimonianza suscita le vocazioni. Si può capire allora quale sia il compito fondamentale di quanti operano nella pastorale vocazionale. Non è principalmente quello di offrire ai nostri giovani delle chiare norme di comportamento o di dire loro quello che devono fare, ma di rendere visibile, per quanto è possibile, l’esperienza di essere stati conquistati noi per primi da Cristo. Credo che la loro attesa nei nostri riguardi si esprima proprio attraverso la seguente richiesta: «Aiutateci ad incontrare Cristo: parlateci di Lui e fateci innamorare di Lui».

È ciò che ha fatto Giovanni Battista indicando a due suoi discepoli Gesù come l’Agnello di Dio; Andrea annunciando al fratello Simone di aver trovato il Messia e conducendolo da Lui; Filippo confidando a Natanaele di aver trovato Colui del quale hanno scritto Mosè e i profeti. Sono ‘ per così dire – i primi giovani che se ne vanno con Gesù lungo il lago di Galilea. Una comitiva che faremmo presto a definire di ‘folli’, dagli occhi ardenti, inebriati di libertà, sempre più convinti che la felicità è un cammino più che un possesso: è l’incontro con la gratuità di Cristo.

A partire dalla loro esperienza nasce un’attrazione a catena verso Cristo che coinvolge tanti altri, anche le donne, e che nel trascorrere dei secoli ha visto diversi testimoni dal cuore grande portare altri uomini a Cristo. Noi stessi costituiamo un anello di questa catena, e guai se tutto si bloccasse a noi e non sentissimo l’esigenza di allacciare un altro anello. Solo in questo modo la propria chiamata diventa per tanti altri notizia, racconto affascinante, invito trasmesso con tono di stupore e di scoperta esaltante. Amare la propria vocazione è il presupposto di ogni efficace proposta vocazionale, a tal punto che Madre Teresa di Calcutta, con la lucidità che le era propria, un giorno disse: «Chi non ama la propria vocazione decide, più o meno consapevolmente, la sterilità vocazionale».

Nel contesto dell’Anno Sacerdotale il santo Padre afferma che anche le vocazioni sacerdotali e religiose passano attraverso la testimonianza di sacerdoti, fedeli alla loro missione. Tutti noi conosciamo preti che hanno fatto la scelta di consacrarsi a Dio e alla Chiesa e sono felici di averla fatta. I loro occhi brillano quando ne parlano, le loro parole sono cariche di un’intensa umanità, il sorriso, anche se tra le difficoltà di una vita che non riserva sempre rose ma anche delle spine, non si spegne sulle loro labbra.

C’è ancora chi dice che la vita di un prete è una vita buttata via. Forse perché ciò che rende bella e grande la vita del prete spesso è oscurato dall’enfasi sulle fatiche e sulle difficoltà. In realtà ci si rende conto sempre di più della sua importanza e della possibilità veramente grande che il prete ha di passare il proprio tempo ad incontrare persone e prendersi cura della loro vocazione alla gioia. Il prete vive per la gente e non per le cose; s’interessa della gente non per qualche bisogno particolare ma per l’essenziale; si consacra per sempre e vive la dedizione definitiva non come un vincolo per la sua libertà, ma come il modo più serio e gioioso di essere libero. La bellezza della vita sacerdotale sta proprio qui: restare fedeli a Cristo e al proprio sacerdozio, per essere fedeli all’uomo. Oggi, gli occhi di molti sono puntati sulla figura del prete. A lui sono dedicati romanzi, film, sceneggiati televisivi, inchieste’ nel tentativo, raramente riuscito, di misurarlo, di ”definirlo”. Alla fine si deve ammettere che, per capire, è necessario avere occhi speciali, aperti allo stupore. Forse è l’unico modo per comprendere che il prete è un dono che viene da lontano. Fa parte di una squadra-staffetta con il compito di recapitare ad ogni uomo l’invito ad incontrare Cristo, Colui che provoca nel cuore di ciascuno la domanda più vera: che cosa devo fare o sto facendo della mia vita? Che cosa il Signore vuole da me?