Il Concilio davanti a noi

di Mons. Luigi Martella

É trascorso mezzo secolo da quell’11 ottobre 1962, allorquando i pastori della Chiesa universale, circa tremila, confluirono a Roma, convocati da Giovanni XXIII per la celebrazione del Concilio Ecumenico Vaticano II.

Il XX secolo passerà alla storia come un tempo di eventi straordinari, alcuni dei quali drammatici e devastanti, come le due guerre mondiali, altri esaltanti, come le grandi scoperte scientifiche e tecnologiche, altri ancora entusiasmanti, come le esplorazioni planetarie. Nel campo ecclesiale, il Concilio Vaticano II rappresenta una pietra miliare, un punto di non ritorno, una sorta di spartiacque tra il prima e il dopo.

Papa Roncalli lo ha indetto perché era convinto della necessità per la Chiesa di spalancare le finestre al fine di respirare aria nuova; Paolo VI, che lo ha portato a conclusione, auspicava un maggiore dialogo tra Chiesa e mondo, e in questo senso ha indirizzato i suoi atti pastorali nel dopo-concilio. Non sempre, però, il cammino post-conciliare è stato privo di ostacoli ed esente da asperità. La ricezione non solo dei testi ma soprattutto dello spirito del Concilio, procede con molta lentezza, anche se dei passi significativi si sono compiuti.

Giovanni Paolo I fece appena in tempo ad esprimere la volontà di rilanciare il Concilio, mentre Giovanni Paolo II ha confermato questa stessa volontà dando l’impronta inconfondibile della sua personalità. Le affermazioni contenute nel suo primo messaggio al mondo davano ampio respiro alla speranza: «Anzitutto ‘ affermava papa Wojtyla ‘ desideriamo insistere sulla permanente importanza del Concilio ecumenico Vaticano II, e ciò è per noi un formale impegno di dare ad esso la dovuta esecuzione. Non è forse il Concilio una pietra miliare nella storia bimillenaria della chiesa e, di riflesso, nella storia religiosa ed anche culturale del mondo? Ma esso, come non è solo racchiuso nei documenti, così non è concluso nelle applicazioni che si sono avute in questi anni cosiddetti del post-concilio. Consideriamo perciò un compito primario quello di promuovere, come azione prudente ed insieme stimolante, la più esatta esecuzione delle norme e degli orientamenti del medesimo Concilio, favorendo innanzitutto, l’acquisizione di un’adeguata mentalità».

Benedetto XVI che ha seguito i lavori del Concilio da giovane teologo è impegnato ora da pastore universale a far maturare lo spirito conciliare nel segno del rinnovamento della vita e della missione della Chiesa nel mondo.

Il ricorso al Concilio non è solo lavoro da storici, che cercano di capire le decisioni dei padri in relazione alle situazioni della Chiesa in un mondo decisamente cambiato; esso è soprattutto opera di credenti che vivono la storia di oggi e vedono nel Concilio un evento emergente in cui lo Spirito ha parlato con forza alla Chiesa. Il Concilio è innanzitutto un metodo di lavoro ecclesiale, perché in esso i padri si sono lasciati nutrire dalla parola di Dio, ispirando ad essa i loro autorevoli insegnamenti e le loro scelte pastorali. Il Concilio è seme fecondo da far maturare nei solchi dell’umanità in cammino.

«A giubileo concluso ‘ scriveva Giovanni Paolo II ‘ sento più che mai il dovere di additare il Concilio, come la grande grazia di cui la Chiesa ha beneficiato nel secolo XX: in esso ci è offerta una sicura bussola per orientarci nel cammino del secolo che si apre» (Novo millennio ineunte, n. 57).

Viene proprio da dire, allora, che il futuro è già nel passato. La distanza che c’è tra le prospettive del Concilio e quelle del magistero della Chiesa di questi anni, non è molta, anzi, direi che c’è poco di nuovo. Ma la distanza tra le indicazioni conciliari e la prassi cristiana attuale è enorme. Il Concilio è ancora più avanti di quanto siamo riusciti a realizzare fino ad oggi. In quell’evento, pertanto, iniziato cinquant’anni fa, c’è ancora il nostro futuro.