Nel suo Messaggio il Papa paragona ‘il flusso di grandi mutamenti culturali e sociali’ prodotti dalla ‘profonda trasformazione in atto nel campo delle comunicazioni’ ai cambiamenti epocali prodotti dalla rivoluzione industriale. Ed è così.
È ormai chiaro, già da anni, che parlando di comunicazioni sociali, e in particolare di comunicazione digitale, non ci si riferisce ad una questione di innovazione meramente tecnologica, quanto ad una mutazione culturale che condiziona pesantemente le dinamiche e le relazioni interpersonali e sociali. Lo sperimentano coloro che, pur non più giovanissimi, sono abbondantemente presenti nella rete digitale, e non in maniera passiva, ma da protagonisti, da autori, gestori e fruitori di informazione, proprio come vuole la logica del web 2.0. Lo sperimentano ancora di più i cosiddetti ‘nativi digitali’, cioè le nuove generazioni che nascono nell’era di internet e che da tenera età sono accostati al computer e alla rete, in una dinamica quasi ormai naturale e ineliminabile, che modifica quelle che sono le teorie della socializzazione primaria e secondaria e chiama infatti la pedagogia a rielaborarle.
Tutto questo, evidentemente, non è negativo, non è da esorcizzare, come talvolta fa chi non ne ha dimestichezza e si trincera dietro giudizi sommari. A patto però che le tecnologie e relative applicazioni siano poste, come dice ancora il Papa ‘al servizio del bene integrale della persona e dell’umanità intera’.
A questo punto entra in gioco la responsabilità educativa degli adulti, chiamati appunto ad educarsi e ad educare alla conoscenza dei mezzi e dei linguaggi, in quanto il ruolo della comunicazione digitale nei processi educativi è sempre più rilevante. Chiamati anche ad evitare un ulteriore elemento di discriminazione sociale, il cosiddetto digital divide, cioè il divario che si crea tra chi ha accesso alla comunicazione digitale e chi ne è escluso. La scuola deve essere in prima linea in questo.
In queste pagine abbiamo più volte affrontato di tali temi e torneremo a farlo con sistematicità.
A questo darà un contributo l’ufficio diocesano per le comunicazioni sociali, preposto tra l’altro, ad accompagnare anche la comunità ecclesiale in un percorso di riflessione su questa evoluzione culturale e anche di interazione con le nuove tecnologie e la loro funzione in ambito pastorale.
In tema di comunicazione, la nostra Diocesi non è all’anno zero. Ne è prova immediata questo nostro Settimanale, sistematicamente attento ad accompagnare l’in-formazione, magari da valorizzare di più nelle parrocchie e nei gruppi; esso offre settimanalmente spunti di approfondimento, oltre che di cronaca, sulla vita che viviamo e l’intreccio di questioni che possono arricchirla o depotenziarla. Accanto ad esso diversi altri strumenti: i periodici diocesani (Luce e Vita Giovani, Kleopas, Audiant et laetentur‘), i diversi bollettini parrocchiali e associativi, il sito internet e la newsletter diocesana e i siti parrocchiali, le sale della Comunità’ Tutti strumenti che richiedono di essere posti in rete, pena la loro parcellizzazione e autoreferenzialità.
Diventa improcrastinabile, per ciascuna comunità parrocchiale, l’individuazione di quella nuova figura che è l’animatore della cultura e della comunicazione, che affianchi nelle parrocchie quelle ormai ampiamente riconosciute del catechista, dell’animatore della liturgia e della carità. «In questo campo servono operai che, con il genio della fede, sappiano farsi interpreti delle odierne istanze culturali, impegnandosi a vivere questa epoca della comunicazione non come tempo di alienazione e di smarrimento, ma come tempo prezioso per la ricerca della verità e per lo sviluppo della comunione tra le persone e i popoli» (CEI, Comunicazione e missione, n.121).