La mancanza di lavoro: una lama nella carne

Luigi Sparapano

È sempre più dilagante la situazione lavorativa in Italia, maledettamente amplificata nel Mezzogiorno. I campanelli di allarme sono sempre più assordanti e devastanti: l’allarme dei suicidi, sempre più numerosi, sempre più inaspettati e vicini alle nostre case; quelli che il card. Bagnasco, nella prolusione all’ultima assemblea generale della CEI, ha definito plasticamente come conseguenza di quella ‘lama più dolorosa nella carne della gente’ che è il lavoro che manca. E citava Papa Francesco: ‘Il lavoro è un elemento fondamentale per la dignità di una persona.

Il lavoro, per usare un’immagine, ci ‘unge’ di dignità, ci riempie di dignità; ci rende simili a Dio che ha lavorato e lavora, agisce sempre; dà la capacità di mantenere se stessi, la propria famiglia, di contribuire alla crescita della Nazione. (‘) Desidero rivolgere (‘) ai Responsabili della cosa pubblica l’incoraggiamento a fare ogni sforzo per dare nuovo slancio all’occupazione; questo significa preoccuparsi della dignità della persona’ (Udienza Generale 1.5.2013). Chi vuole attardarsi in accuse di ingerenza politica faccia pure, ma la situazione è così grave che non può essere distolta con polemiche sterili. La preoccupazione per il lavoro, che è una delle dimensioni che riconoscono dignità alla persona, non può non essere condivisa da tutti coloro che hanno a cuore la persona e la famiglia umana.
‘Il criterio per giudicare qualunque urgenza e intervento efficace è il lavoro’ ha proseguito Bagnasco e il governo Letta ne è convinto, anche se le forze che lo sostengono proseguono nel gioco delle parti che si arrogano questo o quel provvedimento, appuntandoselo al petto. Sono ancora pochi e solo simbolici i provvedimenti di riduzione dei costi della politica, rispetto ai seri problemi economici che hanno le famiglie che pure hanno almeno uno stipendio; figurarsi come possono suonare agli orecchi di chi il lavoro non ce l’ha e si sente quasi sbeffeggiato dai discorsi e dai proclami televisivi. Il Papa ha anche parlato del lavoro che rende schiavi: ‘lavoro schiavo, il lavoro che schiavizza’ le persone perché le sottomette sottomette a se stesso fino ad alimentare una vera e propria ‘tratta delle persone’  anche ai giorni nostri. Senza entrare nel merito di particolari situazioni, si verifica oggi, per esempio nelle nostre campagne, un ritorno di manodopera bracciantile locale, di molti lavoratori che, licenziati o cassintegrati, tornano a rendersi disponibili per i (pochi) lavori agricoli. E qui c’è uno scontro latente con lavoratori immigrati che vengono reclutati perché a minor costo e senza contributi. Una situazione su cui occorre vigilare, cercando di favorire con adeguati provvedimenti, una regolare assunzione da parte di proprietari terrieri, anch’essi martoriati da un’imposizione fiscale sproporzionata rispetto all’oggettivo business che l’agricoltura consente di realizzare.
Anche sul versante femminile assistiamo al recupero di lavori domestici e assistenziali da parte di donne locali, che solo fino a qualche anno fa erano riservati a rumene e albanesi. Ovviamente senza alcuna formalizzazione retributiva.
Poi però c’è da dire che quella lama che fende la carne della gente è tenuta in mano anche da coloro che il lavoro ce l’hanno e non ne apprezzano il valore o si permettono di assentarsi per futili ragioni, o recriminare per motivi oggettivamente deprecabili; come anche di datori che approfittando della situazione tengono i dipendenti con trattamenti ingiusti sotto minaccia di licenziamento.
Il card. Bagnasco aggiunge al discorso la questione del lavoro festivo che, quando c’è, ‘è talmente invasivo da impedire sia il necessario riposo fisico e spirituale, sia la possibilità di coltivare i rapporti con gli altri, tenendo conto che i primi rapporti sono quelli della famiglia’.
Insomma, sembra fin troppo evidente che per un obiettivo di tale portata occorre mettersi davvero intorno a tavoli di discussione (non troppa!) e di concertazione, per trovare soluzioni immediate. Serve anche incoraggiare nuove imprenditorialità e, a mio parere, il rilancio dell’artigianato. Lodevole, a questo riguardo riguardo, l’esperienza del Girls’ day promossa dalla Confartigianato della Provincia di Bari, che ha voluto portare alcune ragazze di scuola media in laboratori artigianali gestiti da donne per trasmettere il gusto di un tipo di lavoro che non è appannaggio degli uomini. Anche la nostra chiesa locale esprime attenzione a riguardo, riconoscendo anche l’impotenza a risolvere situazioni e richieste; le iniziative del Progetto Policoro, lo sportello, gli stage, le tavole rotonde, alcune cooperative di produzione lavoro…
Tutti piccoli, ma importanti segni che rivelano attenzione al problema. Si aggiunga qualche interessamento che anche a livello parrocchiale viene profuso in singole circostanze.