Quale nuova evangelizzazione per ripartire?

Nicolò Tempesta

L’estate ormai alle porte segna la conclusione di un percorso pastorale che ci ha visti impegnati sulla dimensione educativa nel senso più profondo del termine: «Educare alla vita buona del Vangelo significa, in primo luogo farci discepoli del Signore Gesù, il ‘Maestro buono’ che non cessa di educare i figli di Dio con la sua stessa vita». È un’espressione del nostro progetto pastorale che ci ricorda innanzitutto il primo dovere di una evangelizzazione che vuole divenire ‘nuova’: la sequela del Maestro. Per questo, al di là delle precisazioni teoriche sull’aggettivo, credo che in un tempo di bilancio consuntivo, a fine anno, dovremmo domandarci se il nostro discepolato ha reso veramente ‘nuova’ l’evangelizzazione provocando innanzitutto la nostra vita.

‘Una fede che cambia la vita ‘ così come ci ha ricordato il Vescovo nella sua lettera pastorale d’inizio d’anno ‘ è una fede credibile, una fede che è coltivata e non abbozzata’. Quest’anno credo ci costringa non solo a verificare, ma a ripartire da alcune conversioni che vorrebbero rendere nuova l’evangelizzazione per fare, nelle nostre comunità, l’esperienza ‘di una vita generata da Dio – continua ancora il Vescovo – che a sua volta genera vita perché mistero di fecondità’.

Credo allora che dovremmo ripartire da una nuova strategia di approccio. L’evangelizzazione è nuova perché tocca la vita, è una proposta di senso all’esistenza umana, perché nel Vangelo che essa diffonde ci offre un orientamento che ci aiuta a leggere la realtà e che dà solidità all’esistenza quotidiana. Ritornare al Vangelo è un fatto che riguarda primariamente noi operatori pastorali, prima ancora che metterci a ripensare strategie nuove per dire la ‘vita buona del Vangelo’. Il messaggio del Sinodo al popolo di Dio è profondamente segnato da questa prospettiva: ‘Guai a pensare che la nuova evangelizzazione non ci riguardi in prima persona. L’invito ad evangelizzare si traduce in un appello alla conversione. Sentiamo sinceramente di dover convertire anzitutto noi stessi alla potenza di Cristo, che solo è capace di fare nuove tutte le cose, le nostre povere esistenze anzitutto’ (n. 5).

L’evangelizzazione è nuova quando sa intercettare le domande profonde di senso che ogni donna e uomo di buona volontà si pongono nel segreto della propria coscienza, le esige, magari le provoca pure e sa accompagnarle. Le nostre comunità sanno che il mondo non è un deserto, uno spazio vuoto da riempire, per questo una fede che cambia la vita sa anzitutto ascoltarla questa povera vita, conoscerla, leggerne le gioie e le sofferenze così come ci ricorda lo sfruttato proemio della costituzione conciliare Gaudium et Spes.

Penso che nella verifica di fine anno dovremmo ripartire impegnandoci a evangelizzare noi stessi che come Chiesa siamo chiamati a offrire un messaggio di senso: solo l’amore vissuto può vincere la morte. L’evangelizzazione è nuova se la Chiesa, prima di annunciare il Vangelo, ha il compito primario di vivere il vangelo.

Oserei dire ‘farlo il vangelo’ secondo la bella intuizione di Mario Pomilio: «Un uomo andava pellegrino cercando il quinto Vangelo. Lo venne a sapere un santo vescovo e, per l’affetto d’averlo veduto vecchio e stanco, gli mandò a dire queste parole: ‘Procura d’incontrare il Cristo e avrai trovato il quinto Vangelo’».