Luce e Vita - Attualità

La neutralità non è più una virtù

Editoriale n.9 del 28 febbraio 2021

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copertinaForse non lo è mai stata. Certo che negli anni dalla fine della Democrazia Cristiana in poi, mantenersi neutri per non dispiacere nessuno, non esporsi, fluttuare nel limbo del politically correct ed evitare di dichiarare un proprio pensiero politico, ha ingenerato in più d’un cristiano la ferrea convinzione che non contaminarsi in faccende politiche fosse la perfetta espressione della purezza ecclesiale.
Qualcuno ha pensato che vivere la politica da cristiani significasse solo andare a votare. Alcuni hanno scelto di votare, a prescindere, chi difende la famiglia, l’inizio e la fine della vita, i valori non negoziabili. Altri hanno considerato che la famiglia non vive senza lavoro dignitoso e umano, senza politiche sociali serie e rispettose delle categorie più fragili, senza una scuola e una sanità pubbliche e funzionanti. Così siamo andati avanti per decenni, nascondendoci dietro al dito di una scelta religiosa mal interpretata o forse oggi di gran lunga superata dai tempi, di fatto chiudendoci nella torre d’avorio della neutralità, stracciandoci le vesti per la diaspora dei cattolici, mettendo in campo decenni di scuole socio politiche che di fatto non hanno mai vinto la sfida della popolarità, né dato vita ad una classe dirigente di alto profilo.
Abbiamo avuto senz’altro cirenei che, in questo tempo difficile, si sono spesi per il Bene Comune, provando ad impegnarsi in varie formazioni partitiche, più o meno tutti abbastanza isolati nel contesto politico scelto, a destra un po’ meno, a sinistra un po’ troppo, e ancor più isolati in quello ecclesiale di provenienza, senza incidere di fatto nell’uno e nell’altro. Il punto è che oggi ci interroga questa paurosa disaffezione dei cristiani alla politica, in particolare dei nostri giovani. Così come ci prende lo sgomento di fronte ad una classe dirigente evidentemente incompetente, parolaia, in preda al virus del personalismo e deontologicamente dubbia, a cui abbiamo dato spazio, agio e voti.
Oggi, di fronte ad una grave crisi politica in una Italia già provata dal dissesto economico, dall’emergenza sanitaria, da un sistema scolastico che, anziché provare a decodificare lo tsunami in corso, si diletta a trasformare voti in livelli, forse ci rendiamo conto del danno immenso che come cristiani abbiamo arrecato a questo Paese col nostro pilatesco e opportunista lavarci le mani, stare alla finestra, al massimo fare l’occhiolino al potente di turno.
Non si tratta di tornare ai comitati civici, no, ma di cominciare a fare una seria riflessione all’interno dei nostri gruppi, delle comunità, delle associazioni, giovani e adulti insieme, intanto sul concetto di partecipazione. Che è, volenti o nolenti, prendere parte.
Laddove il prendere parte porta all’inevitabile conseguenza di dover scegliere. Scegliere una parte, appunto, piuttosto che un’altra. Scegliere una proposta, un’idea, una formazione, delle persone e “parteggiare”, mettendoci la faccia, il nome e cognome, un po’ di tempo e di energia. Dichiarare da che parte si sta costringe a motivarsi e motivare, ragionare, spesso scontrarsi con chi ha scelto la parte opposta. La dialettica nella politica, se viene salvaguardato lo stile, non deve far paura. è inevitabile e va argomentata, mettendo al centro i contenuti, non gli slogans. Poi un giorno la Storia ci dirà se siamo stati lungimiranti o abbiamo sbagliato tutto, distribuirà torti e ragione. Fino ad allora, però, non è più consentito rimanere neutri, sotterrare il talento senza trafficarlo, evitare di farsi un’opinione, di uscire allo scoperto; è doveroso appoggiare chi pensiamo possa dare un contributo di sostanza al nostro Paese, alla nostra regione, alla nostra città.
Torniamo ad interessarci e seguire le vicende politiche come vitali per la tenuta della democrazia, ma anche per lo spessore della nostra fede. Certo si dovrà poi fare il passaggio successivo e cercare il modo di declinare, possibilmente insieme, in mezzo alla crisi dei partiti tradizionali e dei movimenti avanguardisti, alla folla di piccole, medie, strutturate e destrutturate neoformazioni, il filo di un discorso che ci riabiliti a pensare politicamente e a trovare strade praticabili per rendere il nostro pensiero operativo.

Angela Paparella, segretaria CDAL