Luce e Vita - Spiritualità

L’altro malfattore, figura del discepolo

Domenica 20 novembre

Celebriamo in questa domenica la solennità di Cristo Re dell’universo, una festa che conclude l’anno liturgico e ci proietta verso il tempo forte dell’Avvento. Gesù è in croce, la scritta appesa al di sopra della sua testa ci dice che Lui è il re dei Giudei. La croce è il trono scelto da Gesù, un terribile strumento di tortura dal quale esprime l’essenza della sua legge, la costituzione della sua regalità: dare la vita per la salvezza del mondo. I sacerdoti, i soldati e la folla vedono un uomo che muore, in questo momento ognuno di noi essendo consapevole della Sua resurrezione, contempla tramite la croce, la rivelazione della gloria di Dio, dinanzi a questa scena abbiamo l’opportunità di comprendere l’essenza del suo messaggio salvifico. Questa visione è la porta terrena tramite cui meditiamo ciò che i santi vedono faccia a faccia: la gloria di Dio, la meraviglia del paradiso. Quella descritta dall’evangelista Luca, è una scena fissa: vi sono tre uomini condannati sulla croce, coloro che guardano invece sono in preda a un continuo movimento e agitazione. Siamo chiamati a ritornare con la memoria all’inizio del Vangelo, quando Gesù viene tentato per tre volte nel deserto da Satana, quest’ultimo però non si arrende, tornerà – ci dice san Luca – al momento opportuno per sferrare l’attacco decisivo. L’opportunità si presenta nel momento del massimo dolore e dell’immensa solitudine: Gesù è stato appeso sulla croce e la morte ormai si avvicina. I sacerdoti riconoscono che Lui ha salvato gli altri, ora però se veramente è il Messia deve salvare se stesso, realizzare cioè, quanto è assicurato da ogni religione: il raggiungimento della propria salvezza personale. I soldati rappresentanti del potere politico condividono il medesimo pensiero: chi avendo un potere non salva prima se stesso? Chi non pensa a consolidare la propria posizione sociale per poi se possibile aiutare qualcun altro?
Infine, abbiamo l’invocazione di uno dei malfattori che subisce la stessa pena, il medesimo dolore di Gesù: se tu sei Dio, perché non ci salvi, perché permetti questo dolore? Una domanda che troviamo sulle labbra di tanti sofferenti e ammalati, forse è emersa anche dal cuore di ciascuno di noi, nel momento in cui abbiamo attraversato dei brutti momenti. Questo malfattore non ha preso consapevolezza che in quel momento il Cristo patisce nella medesima misura, che è con lui, nel suo soffrire. Non si tratta dunque di un Re Messia che sconvolge l’ordine della natura, ma la Sua volontà consiste nel rendersi presente nell’afflizione dell’uomo, essendo ben consapevole dell’angoscia che ogni vicenda procura: con la sua morte in croce Cristo ha ricoperto ogni grado di dolore dell’uomo. Chi è ben consapevole di tutto questo è l’altro malfattore, poiché Gesù da innocente è nella sua stessa sofferenza e poi utilizza un verbo bellissimo: “ricordati di me” ovvero portami nel tuo cuore. Un verbo quest’ultimo con cui si aprono molte preghiere presenti nella Sacra Scrittura: da te mio Dio io sono venuto, non dimenticare che sono tuo figlio, nonostante l’essermi allontanato da te con il mio peccato, portami nel tuo cuore. “Oggi sarai con me in paradiso” gli risponde Gesù. Per la prima volta nel Vangelo, l’evangelista Luca utilizza il termine paradiso: giardino. Richiama l’eden della Genesi da cui l’uomo peccatore era stato cacciato, ora sia il malfattore che ciascuno di noi per mezzo di Gesù, ne farà ritorno.

Luca De Santis