Carissimi,
non poteva esserci coincidenza più bella e significativa di questa: il cinquantesimo della vostra parrocchia nel giorno della mia visita pastorale in mezzo a voi. Sono convinto che pur tra le mille difficoltà provocate dalla pandemia, la concomitanza di questi due eventi vi abbia aiutato a fare il punto della situazione, a ripercorrere con gratitudine le tappe più decisive della vostra storia, ma soprattutto a progettare con più lucidità e passione il futuro che vi attende.
Il ricordo che ho della vostra Comunità è sempre stato quello di una realtà ecclesiale vivace e in continuo fermento, frequentata da tanti ragazzi e giovani, famiglie e adulti sempre coinvolti in momenti formativi, campi scuola, recital, oratori estivi.
Quando nel 1971 fu istituita, don Giuseppe Milillo, allora giovane negli anni oltre che nello spirito, con il suo carisma seppe attrarre tutti, piccoli e grandi, attorno alla nuova parrocchia che stava nascendo, anche se provvisoriamente ubicata in una chiesa piccola e senza spazi. Quegli esordi, scanditi da grande entusiasmo, slancio ed energia, ricevettero un ulteriore impulso apostolico dal vento rigenerante del Concilio Vaticano II, che proprio in quegli anni benedetti cominciava a diffondere ovunque il profumo di una nuova primavera nella Chiesa. Ricordo anch’io con grande emozione quegli anni effervescenti dal punto di vista spirituale, sociale, culturale, e la grande vitalità che si percepiva e respirava nelle parrocchie, considerate veri e propri presidi educativi, formidabili punti di aggregazione tra le generazioni, palestre in cui crescere in umanità. La parrocchia, che fino a quel momento era stata vissuta soprattutto come luogo di culto, con il Concilio assumeva finalmente un volto nuovo, diventava davvero, per riprendere la suggestiva immagine di Papa Giovanni, la «fontana del villaggio», l’isola felice dove potersi incontrare e relazionare nell’amicizia.
Dall’ormai lontano 18 aprile 1971, nella vostra parrocchia sono accadute tante cose: quindici anni dopo, l’8 dicembre 1986, il trasferimento nel nuovo quartiere, oltre che nella nuova chiesa; poi l’inaugurazione dell’Auditorium intitolato a don Tonino, dove avete espresso la vostra creatività e il vostro estro; e infine, solo per ricordare le tappe più importanti, la ristrutturazione del Tempio e dei locali per la catechesi. Da allora, a cambiare è stato soprattutto il mondo! Ed è cambiato così radicalmente che Papa Francesco più volte ha dovuto ricordare alla Chiesa e all’umanità, che «quella che stiamo vivendo non è semplicemente un’epoca di cambiamenti, ma è un cambiamento di epoca». In una occasione particolare egli ha affermato: «Capita spesso di vivere il cambiamento limitandosi a indossare un nuovo vestito, e poi rimanere in realtà come si era prima. […] L’atteggiamento sano è piuttosto quello di lasciarsi interrogare dalle sfide del tempo presente e di coglierle con le virtù del discernimento, della testimonianza coraggiosa e della tenerezza attiva. […] Noi dobbiamo avviare processi, più che occupare spazi. Dio si manifesta nel tempo ed è presente nei processi della storia. Questo fa privilegiare le azioni che generano dinamiche nuove. E richiede pazienza, attesa. Da ciò siamo sollecitati a leggere i segni dei tempi con gli occhi della fede, affinché la direzione di questo cambiamento risvegli nuove e vecchie domande con le quali è giusto e necessario confrontarsi» (Discorso alla Curia romana, il 21 dicembre 2019).
Lasciarsi interrogare dalle sfide del tempo, avviare processi, privilegiare azioni che generano dinamiche, leggere i segni dei tempi… Non so voi, ma questa essenziale ed efficace sequenza di input pastorali io la sento profondamente profetica, una sorta di mappa per ritrovare le ragioni profonde della vocazione e della missione della Chiesa nel nostro tempo. Gesù Risorto, proprio in questi giorni pasquali, ci ammonirebbe: «Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese» (Ap 2,7).
«Ascoltare lo Spirito», per una Comunità parrocchiale, credo significhi oggi scegliere innanzitutto di «stare» là dove le persone abitano, crescono e si incontrano.
È stare come il lievito nella pasta del mondo: non separati, ma dentro. Dentro il tempo, dentro le situazioni – anche quelle più comuni e piccole -, dentro le crisi, dentro le fragilità, ma sempre con il fermento del Vangelo nel cuore e nelle mani. Lontani da ogni separatezza e senza il timore per l’apparente inutilità. Ben sapendo che nel tempo della fermentazione tutto sembra fermo e inutile. Quello che vi apprestate a celebrare è un Giubileo importante e per questo anche molto insidioso, perché può indurvi, anche a motivo delle tante difficoltà del presente, ad accarezzare sterili nostalgie dei gloriosi tempi passati. Lavorate con tutte le forze, per non cadere in questa trappola! Prima di me, è lo stesso Papa Francesco a chiedervelo con insistenza: «Una delle tentazioni più serie che soffocano il fervore e l’audacia – scrive – è il senso di sconfitta, che ci trasforma in pessimisti scontenti e disincantati dalla faccia scura. […] Non lasciatevi rubare la speranza» (EG, 85).
Fate memoria delle vostre origini, ritornate con la mente e con il cuore alla freschezza dei vostri primi passi, ricordate pure l’entusiasmo e l’impegno degli inizi, ma sempre tenendo lo sguardo proiettato in avanti. Nella consapevolezza che i “confini” della parrocchia non coincidono con i muri della chiesa o del sagrato, ma con quelli della porzione di territorio su cui la parrocchia insiste, fino ad abbracciare l’orizzonte stesso della vita delle persone. Questo vuol dire essere oggi «Chiesa in uscita, Chiesa missionaria».
Per riuscire in questa impresa tutta evangelica e profetica, mi permetto di suggerirvi una strategia concreta: nel vostro cammino fatevi guidare dai più piccoli, dai giovani della Comunità! Più di noi adulti, essi hanno nel cuore e negli occhi promesse traboccanti di benedizione, fragili e tenaci come germogli di primavera che profumano già di speranza. Lo suggeriva già Péguy, il poeta francese della famosa opera Il portico della speranza, quando con un’immagine potente scriveva che è la «bambina speranza» a guidare nella storia le altre due sorelle maggiori, la fede e la carità.
In un passaggio che considero tra i più belli della sua Esortazione programmatica, Francesco ci invita ad essere «persone-anfore per dare da bere agli altri». Incontratevi, pregate, studiate e spendetevi con passione e senza risparmio, come avete fatto fin qui e se potete ancora di più, perché l’acqua viva e fresca del Vangelo e della vita nuova del Risorto, raggiunga tutti e plachi la sete di amore che brucia nel cuore di ogni uomo.
Infine, permettetemi di invocare una speciale benedizione del Signore, per le mani di Maria, l’Immacolata, sull’attuale e zelante parroco don Gianni Fiorentino e su tutte le famiglie della bella Comunità parrocchiale. Auguri!