L’eredità di Madiba

di Giovanni Capurso

‘Ha preso la storia in mano’, come ha detto Obama, e l’ha tracciata verso sentieri di giustizia come pochi hanno fatto. Nelson Mandela è stato uno degli uomini più apprezzati, forse per delle virtù che hanno un po’ tutti, ma che lui aveva amplificato col suo sacrificio nei 27 terribili anni di detenzione. Pensava di essere fortunato, il vecchio ‘Madiba’, come lo chiamavano affettuosamente. Perché «se sei povero è improbabile che tu viva così a lungo», come a lui è riuscito. E se eri povero e nero e animato da grandi ideali,era improbabile che non finissi in prigione nel Sudafrica dell’apartheid.

Tradimento, cospirazione. Una scusa si trovava sempre. Non era ingenuo, Mandela. E quei 27 anni trascorsi dietro le sbarre avrebbe preferito, lo diceva sempre, trascorrerli con la sua famiglia. In carcere Mandela lesse molto e fece di una poesia un suo punto di riferimento: Invictus, dal latino ‘invitto’, o ‘invincibile’, scritta dal poeta britannico William Ernest Henley, del 1875. Quel carcere non era stato in grado di zittire la sua sete di libertà, tanto che nel 1980 era riuscito a far pubblicare un manifesto contro la segregazione razziale. Dovrà passare un altro decennio prima che il presidente Frederick de Klerk annunci la liberazione di Mandela.

Nel 1993 arriva, per Mandela e De Klerk, il Nobel per la pace, dodici mesi dopo Madiba è il primo presidente nero della ‘nazione arcobaleno’. Dopo il ritiro dalla vita pubblica, nel giugno 2004, all’età di 85 anni, il 27 giugno 2008 a Londra, ad Hyde Park, si è svolto un grande concerto per ricordare i suoi novant’anni, il suo impegno nella lotta contro il razzismo e il suo contributo alla lotta contro l’Aids. Madiba presenziò al concerto, accolto da una straordinaria ovazione di circa 500mila persone, in uno stadio troppo piccolo per tutti. Ai lati del palco campeggiava il numero 46664, il numero che era scritto sulla sua giubba durante la permanenza in carcere. Parlava da uomo libero, con il pugno destro alzato, la voce arrochita, ma ferma a chiedere l’uguaglianza tra gli uomini. Pronunciò un breve discorso in cui ribadì le ragioni del suo impegno civile e politico, dopo aver ringraziato per la straordinaria manifestazione di affetto e di rispetto nei suoi confronti.

Simbolo mondiale dei diritti umani, dell’uguaglianza tra i popoli, della dignità umana non meno del solido coraggio politico, Mandela, forse più di ogni altro, ha saputo sublimare negli anni i dolori privati in catarsi pubbliche. E nemmeno perdeva occasione per richiamare il Sudafrica e il mondo intero alle sue responsabilità. «La povertà tiene la nostra gente in pugno ‘ aveva sottolineato ancora il giorno del suo 90esimo compleanno ‘. Ci sono persone in Sudafrica che sono molto ricche e che potrebbero condividere le proprie ricchezze con coloro che sono meno fortunati e che non sono stati in grado di sconfiggere la povertà».

Ora che non c’è più, ora che per sempre è consegnata alla storia la sua incredibile vicenda umana e politica, non è solo un Paese, il suo Sudafrica, a piangerlo e ricordarlo. Dal mondo intero sono giunti nei giorni scorsi dichiarazioni d’affetto, e i messaggi che spiccano di più sono stati quelli della gente comune, i pensieri che si levano dalle migliaia di baraccopoli del mondo in cui quel volto sorridente da eterno bambino ricordava a tutti, anche agli ultimi, che la speranza non è vana quando si lotta per una giusta causa.