Povero e scomodo

di Mons. Luigi Martella

Natale! Ognuno di noi col pensiero ritorna ai Natali già trascorsi, soprattutto a quelli della prima giovinezza: ci vengono in mente ricordi, atmosfere, luci, musiche, canti, colori, sapori, gare di presepi costruiti con poveri addobbi. In quella semplicità c’era tutta la dolcezza e la poesia del Natale. Non un Natale ‘sprecone’, ma dimesso. Eppure tanto ricco di emozioni, di sentimenti e buoni propositi. C’era il ‘trionfo’ delle piccole cose e lo ‘stupore’ per l’evento del Dio fatto uomo.

Il più grande filosofo del Novecento, Martin Heidegger, parla dello ‘splendore del dimesso’, espressione che si addice molto bene al mistero del Natale. Perché ‘splendore del dimesso’?

Noi pensiamo sempre allo splendore come a qualcosa di scintillante, a qualcosa di luminosissimo, da cui non si possa distogliere lo sguardo, come evento che ci prende e ci ammalia. Invece c’è una bellezza e uno splendore delle cose piccole. La capanna, la paglia, il fieno, il bambino avvolto in ruvidi panni nella mangiatoia, i pastori’ tutto questo non ha grande effetto, non è accompagnato da effetti speciali. Il Natale non si impone; è povero, dimesso.

C’è nel Natale di Gesù, l”elogio della periferia’. Perché il Natale è l’elogio della periferia? Perché avviene lontano dai grandi centri, perché avviene lontano dai palazzi, direbbe Pasolini, lontano dai luoghi deputati alle grandi decisioni, ai grandi eventi, lontano dalle regge. Inoltre, se questo ‘elogio della periferia’ lo applichiamo agli aspetti periferici delle varie situazioni umane, questo discorso diventa ancora più pressante e avvincente.

Papa Francesco invita ad andare verso le ‘periferie esistenziali’, per portare lì la luce di Betlemme. Ci sono, infatti, le periferie del nostro animo, quelle zone sconosciute di noi stessi, zone incolte, inospitali, spigolose, ed è lì che Gesù ci aspetta; ci sono le periferie nei rapporti familiari, rese irrespirabili da inspiegabili e prolungati silenzi, da accumuli di detriti infetti, da relazioni malate, ed è ancora lì che la luce di Betlemme attende di essere accesa; ci sono le periferie sociali, oggi davvero tante, emarginazioni, povertà, insicurezze, abbandoni, sconforti, rassegnazioni: proprio per questo il Verbo si è fatto carne.

Cosa significa che Dio si è fatto carne? Significa che si è fatto pane, significa che si è fatto fame, significa che si è fatto bisogno, significa che si è fatto carezza, significa che si è fatto lacrime, significa che si è fatto dolore, significa che si è fatto morte. Queste periferie, e tante altre, sono salutari ‘provocazioni’ per riscoprire la pacifica ‘rivoluzione’ del Natale. Nello stesso tempo, offrono l’occasione per guardarci negli occhi, prenderci per mano e accoglierci gli uni gli altri condividendo il poco che abbiamo.

Auguri di cuore! Vostro

+ don Gino – Vescovo