Un monumento in ricordo della visita di papa Francesco a Molfetta sarà inaugurato e benedetto a Molfetta, alle ore 17,00, in Piazza Garibaldi (nei pressi del Seminario vescovile) voluto dall’Amministrazione comunale di Molfetta. Un secondo elemento sarà posizionato proprio nei pressi del porto dove fu posizionato il palco papale.
«La croce pettorale del Servo di Dio don Tonino Bello, insieme all’ulivo secolare, presenti sul palco dove Papa Francesco ha presieduto l’Eucaristia il 20 aprile 2018, – recita il manifesto dell’evento – vengono collocati nel cuore della nostra città, volti verso il Seminario Vescovile, a ricordo perenne della storica visita».
A benedire il monumento saranno S.E. Mons. Francesco Cacucci, Arcivescovo metropolita di Bari-Bitonto, e S.E. Mons. Domenico Cornacchia, Vescovo di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi, alla presenza del Sindaco Tommaso Minervini, delle autorità e della cittadinanza.
L’iniziativa comunale è oggetto di forti polemiche, soprattutto sui social, circa la scelta compiuta del luogo, del progetto e della spesa, tanto che è stata lanciata anche una petizione per la rimozione del monumento.
Una chiave di lettura del monumento in ricordo del 20 aprile 2018 è offerta da don Ignazio Pansini su Luce e Vita di domenica 7 aprile, di cui pubblichiamo in anteprima il testo.
«Un monumento a che serve? E, soprattutto, a chi serve?
Può servire ad abbellire un ambiente, ad occupare uno spazio, a contrassegnare un luogo. A ricordare un evento o una persona.
Serve non al sito, ma a chi vi passa; non alla persona che è passata, ma a chi vuole renderla presente; non ai morti, ma ai vivi.
Più l’opera permette di rendere vivo il ricordo, più quell’oggetto risponde al suo scopo; più facilmente permette di cogliere la ricchezza dell’agire di chi si intende celebrare, più è fedele allo scopo.
Per ricordare un uomo che guidava un esercito in lotta sarebbe fuori luogo posizionare un fiore di piombo. Per celebrare le gesta di un navigante non si fa ricorso alla fusoliera di un aereo. Per far memoria delle conquiste di un alpinista non si edifica un acquario.
Ogni monumento, edicola o stele, serve a chi rimane, a chi viene dopo, ai presenti.
La forma non è solo frutto di un particolare impegno accademico, ma deve rimandare allo stile di vita di colui il cui ricordo si vuol rendere vivo e trasmettere.
Non poche sono le osservazioni espresse anche con le migliori intenzioni verso un monumento che la Città sta elevando in ricordo della visita di Papa Francesco a Molfetta al fine di celebrare il 25° anniversario della morte di don Tonino Bello, il cui ricordo è senza ombra di dubbio degno di essere trasmesso.
A molti il monumento non piace. A tanti non piace il luogo. Tutte le osservazioni hanno un motivo valido e talvolta convincente per essere espresse.
Eppure senza voler difendere alcuno e dichiarare infondati i numerosi commenti negativi, a pensarci bene per rendere vivo e attuale il cammino tracciato da don Tonino Bello non poteva essere scelto un posto più opportuno per il suo impatto viscerale e un oggetto meno scomodo di una croce.
Non si sa se la scelta del luogo, la progettazione del manufatto ed il suo posizionamento risponda ad un progetto ben preciso e fatto con la consapevolezza delle variegate opinioni che si sarebbero scatenate tra i vari opinionisti.
Forse, sia pure inconsapevolmente, non ci sarebbe stato sito più opportuno e oggetto più espressivo per chi vuol ricordare l’evento che ha visto il Papa celebrare don Tonino.
Per quanto si sente dire, don Tonino è stato tutt’altro che comodo nel suo dire, e nel suo operare ha sempre visto le folle contrapporsi nei giudizi. Per quanto molti dicono l’essenzialità, la trasparenza, la linearità e la coerenza hanno caratterizzato le scelte, non sempre e non da tutti gradite, di quel vescovo del quale si vuol fare memoria. Dicono che sia stato un vescovo scomodo, sempre pronto a mettersi in gioco e a farsi incontro all’altro, ma mai accomodante né mai avrebbe edulcorato il suo modo di essere.
Posizionare un elemento scomodo anche al solo vedersi, quale è una croce, proprio nel luogo della “movida”, là dove la gente cerca distrazione e divertimento, fuga e spensieratezza, sembra proprio voler rendere ancora viva la presenza di quel vescovo: scomoda, trasparente, essenziale come la forma di quella croce ivi posizionata. Scomoda perché quel segno ricordi al passante il peso di quello strumento di sofferenza e lo induca ad eliminare le fabbriche che le producono nonché ad escogitare strategie perché il suo peso non gravi sulle spalle di chi è più debole per l’assenza di voce, per cultura, per censo, per potere. Scomodo perché indica nel superamento dell’egoismo e nel dono di sé il luogo e il mezzo per dar senso alla giustizia. Scomodo perché è il segno dell’amore che si fa dono.
Chissà che quella croce posizionata proprio lì non serva al passante per cogliere gli spiragli presenti su di essa al fine di provocare impegno perché ciascuno possa essere artefice di nuovi spiragli di luce nei confronti di chi è oppresso dal buio per mancanza di speranza. Magari quelle fessure serviranno ad indicare che nessuna croce esaurisce in se stessa il proprio ruolo: c’è per tutti un oltre e, forse, un altro a cui volgere lo sguardo per conseguire la piena gioia.
Non è bella quella croce, è scomoda ed è improprio il luogo, proprio come la persona alla quale essa richiama, come l’annuncio che propone e l’impegno che richiede: essere dono per l’altro, morire a se stessi per dar vita.
Ma non era questo, a quanto tanti dicono, ciò che voleva e faceva don Tonino?»
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