“Ritornare a chiamarsi Noemi”

di Onofrio Losito

La preoccupazione e lo sgomento per la delicata situazione economica e sociale del nostro paese rischiano di bloccarci in un impotente immobilismo o peggio di scatenare scomposte e deplorevoli reazioni di pur condivisibili proteste. Quale comportamento assumere da cattolici in questo complesso periodo storico? Proviamo a trovare delle indicazioni confrontandoci con la storia di Noemi. Noemi, una giovane donna che perde nel giro di breve tempo, per eventi misteriosi, prima il marito e poi i due figli maschi, che si erano ben sistemati sposando due ragazze pagane nella zona di Moab. Quest’improvviso cambio nella vita di Noemi la induce a chiedere di essere chiamata non più Noemi (che vuol dire dolcezza mia!) ma Mara, cioè amarezza!

Quel nome di Mara rappresenta benissimo tutta l’amarezza di tanti giovani (ormai adulti) che non trovano lavoro, che sono parcheggiati, che hanno contratti a breve scadenza, che non riescono più a progettare una famiglia propria. Costretti amaramente a vivere di espedienti o a stare sulle spalle della propria famiglia di origine. Potrà Mara tornare ad essere Noemi? Questa è la sfida che spetta a noi cristiani nell’odierna società e Chiesa locale. Il possibile percorso di ‘riappropriazione’ del nome Noemi è delineato proprio nel libro di Rut a cominciare dalla prossimità a Noemi di Rut, nuora vicina alla suocera, che non la lascia, che la ama gratuitamente. La sua fedeltà va contrapposta alla fuga di Orpa, che vuol dire l’opposto. Infatti mentre Rut vuol dire amica fedele, Orpa significa Colei che mostra le spalle. Una scelta di campo chiara e inequivocabile che non lascia adito a tentennamenti e che ci interpella tutti indistintamente. Chi vogliamo essere  Orpa o Rut? Il libro prosegue descrivendo la decisione di Noemi di ritornare a Betlemme da cui Noemi era partita con la sua famiglia, piena allora di speranza. È un ritorno molto triste con infinite delusioni. Ma trovano una grossa opportunità. Si sta infatti mietendo l’orzo, che diviene il simbolo di tutte le realtà tipiche di un territorio, ma è anche il simbolo delle qualità personali, dei talenti, della formazione di ciascuno. È la speranza fatta segno! Qui subito Rut coglie l’opportunità e dice con franchezza e coraggio: ‘Io vado a spigolare’. Spigolare è il simbolo di ogni precarietà giovanile e sociale che ci attraversa. È la più povera delle strade. Perché tutto dipende dal capriccio di chi ti sta avanti. Sei nulla. Eppure Rut è descritta come una lavoratrice solerte, delicata, zelante, positiva. non si scoraggia, non si lamenta, ma anzi, mette nel suo lavoro precario tutta una sua ‘regalità’ di stile che la rende meravigliosa, ammirata da tutti gli altri mietitori. È il lavoratore che dà dignità al lavoro e non il lavoro che lo rende degno. A questo punto entra in scena Booz, il proprietario del campo. Osserva quella ragazza, e se ne innamora perdutamente. Consigliata dalla suocera, Rut avanza la sua proposta matrimoniale con decisione e in un intreccio di segni meravigliosi. Booz è il Goèl, cioè colui che prende su di sé le fatiche e le lacrime dell’altro, per farle proprie. è la politica che ha smarrito la sua prossimità con la gente, è la banca che recupera il suo primario servizio di sostegno allo sviluppo del territorio, è la reciprocità tra nord e sud, è la difesa dalla mafia e dalla scempio del creato, è la tutela sindacale, è la protezione dalla paura, è il consiglio giusto al momento giusto, è l’ascolto della preghiera di un amico, è la protezione di Maria. Dall’unione feconda di questo legame (Mara, cioè amarezza e Goèl, cioè colui che prende su di sé le fatiche e le lacrime dell’altro per farle proprie) nasce un bimbo, Obed, nato da Rut ma cullato da Noemi. è il dono che rende possibile la trasformazione di Mara in Noemi! è dalla fatica e dal coraggio della testimonianza che nasce in chi osserva l’interrogativo ‘chi è quel Gesù Cristo che testimoniate?’, da cui si intraprende quel cammino di conoscenza-educazione sintetizzato nel: ‘Vieni e vedrai’.

è il tempo di dare testimonianza, uscire allo scoperto e rinnovare con coraggio il tessuto sociale politico ed economico del nostro Paese senza indugiare ancora. L’opera di discernimento cristiano quale guida nelle scelte di delega delle responsabilità appare sterile in un panorama di generale mediocrità fatta di caduta di eticità, personalismi, egoismi e losche commistioni affaristiche. Nell’ottica della sussidiarietà siamo chiamati a farci Goèl, cioè colui che prende su di sé le fatiche e le lacrime dell’altro per farle proprie. Non possiamo più attendere!