Sacerdoti, il buon profumo di Cristo

di Mons. Luigi Martella

Una vigilia di Pentecoste memorabile quella che ci accingiamo a vivere. Sembra quasi che lo Spirito Santo si voglia soffermare per avvolgere tutti noi, radunati nella nostra cattedrale, per partecipare all’ordinazione presbiterale di Massimo Storelli, Giuseppe Germinario e Silvio Bruno. Quale gioia e quale grazia per la nostra Chiesa di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi! Sono stati chiamati, infatti, proprio per la Chiesa e non per se stessi. La gioia diventa ancora più grande perché Massimo, Giuseppe e Silvio hanno accolto con entusiasmo l’invito ad essere ordinati insieme. Questo particolare mette più in evidenza il carattere “pentecostale” della nostra Liturgia, giacché nel Libro degli Atti leggiamo che gli Apostoli quel giorno “si trovavano tutti insieme nello stesso luogo! (2, 1).
La vocazione al sacerdozio è una vocazione non ad un “io”, ma ad un “noi”. Proprio come la vocazione al matrimonio. Non sono forse, l’uno e l’altro, come li chiama il Catechismo della Chiesa Cattolica, “sacramento del servizio della Comunione?”. Nessun isolamento farà mai nascere la Comunione. La Comunione è servita solo dalla Comunione. La Chiesa più che di molti preti, ha bisogno di un presbiterio! Essere “presbiterio” è dono insito nella grazia del Sacramento: un dono da accogliere, da pregare, da condividere, da difendere, da testimoniare quotidianamente.
Questa è la grazia che invoco questa sera per i tre ordinandi: “Dà, ti preghiamo, Padre onnipotente, a questi tuoi figli, la dignità di presbiteri”.
Ma lasciamoci illuminare dalla Parola di Dio assegnata alla Veglia di Pentecoste: troveremo in essa l’annuncio di quanto il Signore opera per la Chiesa e nella Chiesa e di quanto sperimentiamo in questa solenne assemblea liturgica.
«Effonderò il mio spirito sopra ogni uomo»: attraverso il profeta Gioele, ci giungono queste parole del Signore, il quale garantisce una situazione di totale cambiamento per il popolo di Dio, mediante la forza dello Spirito.
Anche per voi, questa sera, carissimi, è lo Spirito che compie una trasformazione radicale, attraverso l’unzione. Nello Spirito sarete unti. «In virtù dell’unzione dello Spirito Santo ‘ dice la Presbyterorum ordinis ‘ i sacerdoti sono marcati da uno speciale carattere che li configura a Cristo Sacerdote, in modo da poter agire in nome di Cristo Capo» (PO 2). Nel Veni Creator si menziona la spiritalis unctio (l’unzione spirituale), espressione agostiniana che interpreta il testo della Prima Lettera di Giovanni: «Voi avete ricevuto l’unzione’» (1Gv 2, 27), nel senso di unzione continua, grazie alla quale lo Spirito Santo, maestro interiore, ci permette di comprendere dentro ciò che ascoltiamo all’esterno.
San Basilio dice che lo Spirito Santo «fu sempre presente nella vita del Signore, divenendone l’unzione e il compagno inseparabile», così che «tutta l’attività di Cristo si svolse nello Spirito» (Basilio di Cesarea, Sullo Spirito Santo, XVI, 39[PG 32, 140C]). Avere l’unzione significa, dunque, avere lo Spirito Santo come “compagno inseparabile” nella vita, fare tutto “nello Spirito”, alla sua presenza, con la sua guida.
Unti, per che cosa? Per essere mandati! Per diffondere nel mondo il buon odore di Cristo!
San Paolo, nella Seconda ai Corinzi scrive: «Siano rese grazie a Dio che sempre ci fa trionfare in Cristo e che per mezzo nostro spande dappertutto il profumo della sua conoscenza. Noi siamo infatti davanti a Dio il profumo di Cristo» (2Cor 2, 14-15).
Questo dovrebbe essere il sacerdote: il buon profumo di Cristo nel mondo! Ma l’Apostolo ci mette sull’avviso, aggiungendo subito: «Abbiamo questo tesoro in vasi di terra» (2Cor 4, 7). Sappiamo fin troppo bene, cosa tutto questo significhi. Gesù diceva agli Apostoli: «Voi siete il sale della terra; ma, se il sale diventa insipido, con che lo si salerà? Non è più buono a nulla se non a essere gettato via e calpestato dagli uomini» (Mt 5,13).
La verità di questa parola di Cristo è dolorosamente sotto i nostri occhi. Anche l’unguento, se perde l’odore e si guasta, si trasforma nel suo contrario, in lezzo, e anziché attirare a Cristo, allontana da Lui.
Anche per rispondere a questa situazione papa Benedetto XVI ha voluto celebrare l’anno sacerdotale. Lo scriveva apertamente nella Lettera di indizione, il 16 giugno 2009:
«Ci sono purtroppo anche situazioni, mai abbastanza deplorate, in cui è la Chiesa stessa a soffrire per l’infedeltà di alcuni ministri. É il mondo a trarre allora motivo di scandalo e di rifiuto». La lettera del Papa aggiunge poi: «Ciò che massimamente può giovare alla Chiesa è ‘ una rinnovata e lieta coscienza della grandezza del dono di Dio, concretizzato in splendide figure di generosi pastori, di religiosi, ardenti di amore per Dio e per le anime».
Proprio oggi, 26 maggio, la Chiesa ricorda San Filippo Neri, un sacerdote che ha diffuso il profumo di Cristo in abbandanza circa cinque secoli fa e di cui si sente ancora la dolce fragranza. Egli si conquistò la simpatia della grande città, tanto da venir detto l’«Apostolo di Roma». Frequentava i quartieri più poveri, gli ospedali più abbandonati, le carceri più tetre, portando gioia dappertutto con la più amabile carità cristiana. Raccoglieva intorno a sé tanti ragazzi di strada, li faceva divertire, li educava e li istruiva, istituendo per loro l’«Oratorio del divino amore».
Il breve e intenso brano evangelico di questa sera ci suggerisce altre suggestioni riguardo al ministero sacerdotale. «Chi ha sete ‘ dice Gesù – venga a me e beva, chi crede in me. Come dice la Scrittura, “fiumi di acqua viva sgorgheranno dal suo seno”. Questo egli disse riferendosi allo Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui» (Gv 7, 37-39).
Una bellissima ed efficacissima immagine di sacerdote ci è data nella Esortazione Apostolica Pastores dabo vobis (n. 43). Lì si dice che il sacerdote è come un “ponte” per gli altri nell’incontro con Gesù Cristo Redentore dell’uomo. Il nostro compito, cari sacerdoti e cari ordinandi, è proprio quello di consentire alla gente di incontrarsi con l’inesauribile sorgente di acqua pura, di acqua sorgiva, di acqua rigenerante che è Cristo. Pensiamo all’aspirazione profonda dell’uomo, di ogni uomo! Consideriamo la “vera sete” di cui sono assetati tanti giovani, soprattutto!
Intervenendo, ieri l’altro, papa Benedetto XVI, all’Assemblea Generale della CEI, in questi termini si rivolgeva ai Vescovi: «Non sapremo conquistare gli uomini al vangelo se non tornando noi stessi per primi a una profonda esperienza di Dio». E aggiungeva: «Gli uomini vivono di Dio, di Colui che spesso inconsapevolmente o solo a tentoni ricercano per dare pieno significato all’esistenza: noi abbiamo il compito di annunciarlo, di mostrarlo, di guidare all’incontro con Lui. Ma è sempre importante ricordarci che la prima condizione per parlare di Dio è parlare con Dio, diventare sempre più uomini di Dio, nutriti da un’intensa vita di preghiera e plasmati dalla sua Grazia». Parole chiare quelle del Pontefice, rivolte ai Vescovi, ma che si addicono pure ai sacerdoti.
Nella lettera a tutti i sacerdoti in occasione del Giovedì Santo del 1979, la prima della serie del suo pontificato, Giovanni Paolo II scriveva: «C’è nel nostro sacerdozio ministeriale la dimensione stupenda e penetrante della vicinanza della madre di Cristo». Questa vicinanza tra Maria e il sacerdote è riscontrabile nella missione stessa; come Maria il sacerdote ha il compito di portare Gesù al mondo. Ma tale vicinanza è riscontrabile anche nel momento stesso della ordinazione. Ci sono due brevissime parole che Maria pronunciò nel momento dell’Annunciazione e che il sacerdote pronuncia al momento della sua ordinazione: «Eccomi!» e «Sì!». Una l’abbiamo ascoltata anche da voi: quando siete stati chiamati per nome, avete risposto: «Eccomi!»; l’altra la ascolteremo fra un po’: quando vi saranno rivolte alcune domande, risponderete: «Sì, lo voglio!». Ogni giorno siamo chiamati a pronunciare con gioioso slancio queste due parole: «Eccomi!», «Sì, lo voglio!», facendo rivivere l’unzione ricevuta nell’ordinazione.
Gesù entrò nel mondo dicendo: «Ecco, io vengo, o Dio, per fare la tua volontà!» (Eb 10, 7). Accogliete anche voi questo immenso dono del sacerdozio con le stesse parole: «Ecco, io vengo, Signore Gesù, per fare la tua volontà!».
 
+ Luigi Martella