Una pagina non chiusa

di Luigi Sparapano

La soddisfazione per aver individuato e fermato, in tempi abbastanza rapidi, i presunti delinquenti che hanno causato la morte di Giuseppe Di Terlizzi a Ruvo, si accompagna ad un sentimento di fiducia nelle Forze dell’Ordine che, a differenza di altre circostanze, fanno sentire concreta la presenza dello Stato e delle sue Istituzioni.
“Egli è stato brutalmente strappato alla vita, all’affetto della sua famiglia, alla nostra compagnia, in pochi secondi. Uno dei tanti, vittima di barbarie umana? No! Uno di noi! Un amico, un fratello, un vicino di casa, un compaesano, un compagno di viaggio’ Incredibile!”.
Così Mons. Martella ricordava Pino durante i funerali; e più avanti si rivolgeva ai responsabili del delitto: “a chi ha nascosto il volto con il passamontagna, ma non lo può nascondere di fronte a Dio e alla propria coscienza: abbiate il coraggio di consegnarvi alla giustizia! Abbandonate immediatamente la strada della morte, perché il problema più serio non è di colui che muore da vivo, ma di colui che vive da morto, perché si è macchiato del sangue del fratello. Rendete, almeno, l’omaggio del vostro pentimento a chi ha perso il marito, alla giovane moglie Lucia, ai due piccoli Antonio e Angela che sono rimasti senza papà”.
Tuttavia, ora che forse le responsabilità sono state attribuite, la soddisfazione non ripaga il dolore e non colma l’enorme vuoto lasciato nel cuore della moglie, dei figlioletti e dei parenti ed amici di Pino, che pure stanno riprendendo a vivere con tenacia e determinazione.
Semmai aggiunge dolore a dolore. A quello di Lucia, di Antonio e di Angela, si aggiunge quello delle madri, dei padri e dei fratelli dei cinque giovani criminali, ora in arresto e certamente segnati a vita per quanto hanno compiuto. Praticamente incensurati, tra i 19 e 20 anni, sono quelli che don Tonino Bello avrebbe definito “non mostri, ma nostri”; cioè figli delle nostre famiglie, alunni delle nostre scuole, abitanti delle nostre città, ragazzi delle nostre parrocchie’ A meno che si voglia pensare che ci siano persone che nascono con lo stigma della delinquenza, dobbiamo ammettere che ogni devianza è frutto del contesto che la genera e la alimenta.
Ho davanti ai miei occhi i volti di ragazzi della mia città trascurati o non seguiti dalle famiglie, che come scuola talvolta non sopportiamo e non riusciamo a dargli di più, che come chiesa non ci curiamo più di tanto se sono presenti o meno, che come istituzioni non sappiamo gestire’ Che ne sarà di loro? In quali guai andranno a cacciarsi? Su chi scaricheranno la rabbia o la delinquenza o i vizi accumulati?

Ecco perché la svolta nella tragedia ruvese non chiude una pagina e non archivia il problema. Ancora una volta serve riflettere, insieme, su quali siano i valori e le prospettive che noi adulti stiamo trasmettendo ai più giovani. Serve compiere quell’auspicato investimento educativo sinergico, serve accrescere il dialogo tra le istituzioni educative primarie, serve attivare non generiche giornate della legalità, quanto piuttosto percorsi di educazione alla legalità in situazione. Non vedo altro modo per far fiorire dal chicco di grano, ormai sepolto, una spiga di grano per un pane nuovo.