Un anno straordinario esigenza e bellezza di verificarlo

Editoriale n. 25 del 24 giugno 2018

Ogni anno pastorale ha la sua singolarità e, manco a dirlo, è anche sfogliando le pagine del nostro settimanale che se ne può fare memoria e rilettura. Ma questo che concludiamo è unico: Pietro è stato tra noi, nella nostra Diocesi, prima volta nella storia del Cristianesimo (lasciando da parte le incerte notizie storiche relative alla fondazione apostolica della Chiesa di Ruvo). Non è stata una meteora, per quanto veloce, nè un evento da archiviare e da appuntarsi al petto. Grazie al Vescovo Domenico, abbiamo potuto condividere ore di inaudita gioia, preparate con enorme impegno e mettendo in campo notevoli risorse. Ore intense che adesso richiedono di essere riprese e rilette, soprattutto proiettate.

Vivere don Tonino
La circostanza del 25° anniversario del dies natalis di don Tonino non poteva essere celebrata meglio. Ma è proprio qui che si annida il rischio. Quello di averlo celebrato, anche molto degnamente. Quello di volerlo ancora celebrare in forme più o meno romanzate, emozionanti, scenografiche. Ma questo non può bastarci. Non possiamo fermarci qui. Non è questo il luogo per una riflessione approfondita e, in attesa di farlo nei modi e luoghi deputati, sento di dover dire a me stesso e a tutti che occorre un supplemento di impegno condiviso nel ripensare il nostro modo di essere Chiesa, più calibrato sullo stile incarnato da don Tonino e rilanciato da Papa Francesco. Metterei un punto a convegni, monumenti, libri… che spesso più che celebrare lui sono pretesti per celebrare noi stessi; se questa impressione è stata data nelle attività svolte in questo anno, anche da queste pagine, io chiedo scusa.
Mi faccio alcune domande: che senso abbia farsi selfie o foto nella stanza dove don Tonino è morto o sulla tomba: è un monumento? Li vedrei come luoghi dirompenti di meditazione e di conversione, non come set fotografico, per cui ciò che rimane da fare, invece, è attivare laboratori e percorsi operativi che facciano sperimentare, nel qui ed ora, la profezia della stola e del grembiule. Per tutti.
Quanto del suo stile (e di quello di Francesco) diventa stile personale nell’uso dei beni, nei modi di relazionarci, nella vita spirituale, nella gestione dei poteri, piccoli o grandi che siano? Come fare in modo che le due grandi opere-segno da lui istituite (CASA e Casa d’Accoglienza) più che essere un peso da portare (delegato a pochi), siano un metodo pastorale da ravvivare e da sentire proprio da parte di ciascuna parrocchia? Non è la visita o la corsa o la marcia o la manifestazione estemporanea che può far questo, ma una precisa progettazione pastorale. E quale capacità di accoglienza stiamo esercitando nelle parrocchie? Che idea abbiamo delle ultime decisioni governative in materie di migranti? La caritas parrocchiale è rimasta il gruppo che provvede alla distribuzione dei pacchi e al pagamento di bollette o si configura come animazione dell’intera comunità all’accoglienza e alla condivisione? Ci sono numerose esperienze di servizio, quali le mense cittadine e, non ultima, quella del Social Market Solidale, istituito di recente a Molfetta, ma a volte l’impressione è che riguardano solo alcune persone, non invece una scelta di metodo della comunità intera. Che dire poi dell’impegno per la città, l’ascolto dei suoi bisogni e la capacità di prendere la parola, con competenza? L’episodio di ennesima intimidazione nei confronti di Matteo d’Ingeo, attento osservatore e difensore della legalità, a Molfetta, al quale rinnoviamo la nostra solidarietà, interroga i nostri silenzi; non possiamo essere distratti, inoltre, rispetto alle scelte amministrative che talvolta non sono mosse dagli interessi degli ultimi. Insomma, dire, scrivere e manifestare per don Tonino è addirittura facile. E viverlo?
Come Chiesa locale siamo stati fortemente interpellati dal Papa ad essere testimoni del dono di don Tonino. Ad essere Pane spezzato, a smettere di vivere per sé, a farci pane di pace, a coniugare la Parola con le parole, ad alzarci e ad entrare in città: “Va’, non rimanere chiuso nei tuoi spazi rassicuranti, rischia!”. Sono poche parole che valgono mille programmi pastorali, ma è proprio sui nostri programmi che occorre un’ulteriore riflessione.

L’esigenza della verifica
Il nostro modo di essere comunità si declina anno per anno con le indicazioni pastorali che il Vescovo offre. Ma che fine fanno? Tanto lavoro di programmazione quando e come viene verificato?
Ritengo fondamentale che anche come Chiesa, pur non essendo un’azienda o una scuola, facciamo entrare nelle nostre prassi l’esigenza e la bellezza di fermarci, di tanto in tanto, per valutare (dare valore) il cammino che andiamo compiendo. In tutti i processi formativi (e quello di un gruppo, associazione, parrocchia, diocesi è fortemente formativo), la funzione di valutare è formativa come e forse più della programmazione. Non c’è da aver paura, nè da nascondersi dietro un semplice “a noi tocca seminare”. Sarebbe come dire a un contadino “semina, semina, se raccogli è bene, altrimenti poco male”. É vero che il seme cresce senza che il seminatore sappia come, ma altrettanto vero che il seminatore deve scegliere tempi e modi per una semina efficace. Sembra una perdita di tempo dover incontrarsi e verificare; ci assale il timore di confrontarci con i nostri limiti, con i fallimenti, le delusioni… In realtà, in una logica e con una impostazione corretta, la valutazione non può che portare al miglioramento. Lo sforzo e il “tempo perso” nella valutazione rende più facile e veloce la programmazione futura perchè mostra con più chiarezza gli aspetti da depotenziare e quelli da rinforzare. Per questo come redazione, d’accordo con l’Ufficio pastorale, abbiamo pensato di offrire 10 passi per una verifica parrocchiale. Nella massima libertà. Si tratta di:
a) provare a leggere e spiegare i fenomeni, riconoscere la realtà in cui operiamo;
b) convalidare o smentire quanto era stato programmato (se programmato);
c) comprendere i limiti e le risorse a disposizione;
d) promuovere decisioni orientate e assunzione di responsabilità nelle scelte da compiere.
La vigna che ci viene affidata non è nostra, a maggior ragione abbiamo la responsabilità di lavorare bene. A voi la parola e, se volete, la condivisione, mediante l’iniziativa “Esperienze pastorali” (vedi box a pagina 3).

di Luigi Sparapano