Un passo nuovo anche per le nostre città

di Luigi Sparapano

Vincenzo, Daniela, Marco, Franco, Veronica… alcuni corrispondenti del presidente Napolitano che hanno ispirato il messaggio di fine anno. Ed anche il Papa ha salutato il nuovo anno riferendosi ad una delle innumerevoli lettere che riceve. Sappiamo delle risposte personalizzate del Papa, anche telefoniche, e leggiamo sul sito del Quirinale dell’ attenzione che il Presidente riserva a chi gli scrive. Sembrano voler sollecitare un cambio, nel metodo e nel merito, dell’impegno di quanti ricoprono responsabilità pubbliche. E cioè rimettere al centro la persona, col suo nome, il suo volto, la sua storia e da essa lasciarsi guidare nelle

scelte politiche, amministrative, pastorali. Sono le persone che fanno il volto delle città e delle comunità e se queste non vengono guardate ed ascoltate direttamente si rischia di rincorrere idee personali, punti di vista parziali e soggettivi che non sempre corrispondono alle aspettative vere.

L’anno nuovo chiede a tutti, quindi, un passo nuovo nel cammino delle comunità civili ed ecclesiali.

In queste ultime richiede, per la nostra diocesi, che si rinfocoli il desiderio di osare i nuovi percorsi tracciati

dal nostro progetto pastorale, di non arroccarsi nella routine, di non subire gli eventi. Tocca a ciascuno di noi orientare la propria coscienza per metterci sempre di più sulle vie della solidarietà, ponendo in discussione, come più volte detto da queste pagine, anche gli stili di vita personali, familiari, ecclesiali e pubblici. In particolare la crisi che viviamo (e vivremo ancora!) non sarà servita se non ci avrà dato una preziosa lezione di vita: il recupero di quel sano equilibrio tra la necessità di consumare (per far riprendere l’economia) e l’esercizio della sobrietà come fattore culturale, che è poi valore cristiano eloquente.

Un passo nuovo va anche posto traducendo gli appelli alla speranza in scelte concrete sul piano politico e sociale, anche nelle nostre città che non mancano di pesanti fardelli sulle spalle delle famiglie e sui ceti più deboli. Proprio il recupero del contatto diretto con le persone, l’avere di fronte i nomi e i volti di coloro che soffrono il disagio maggiore, forse non lascerà il tempo alle polemiche e alle schermaglie pregiudizievoli; pur nella doverosa e democratica dialettica politica, si dovranno individuare le strade opportune per raggiungere obiettivi corrispondenti al bene comune, più che alle logiche e agli interessi di parte. Le nostre città meritano improrogabili segnali forti in tal senso.

Ma forse è proprio l’idea di bene comune che richiede un passo nuovo, più condiviso.