Ufficio per la Pastorale

Tracce di sinodalità. A 60 anni dalla Lumen Gentium. Intervento del prof. Michele Illiceto

Disponibile il testo integrale

Pubblichiamo il testo integrale della relazione del prof. Michele Illiceto della prima serata del Convegno Pastorale Diocesano “Tracce di sinodalità. A 60 anni dalla Lumen Gentium”, svoltosi a Molfetta il 19 settembre scorso.

 

 

 

Premessa

Stando al titolo avreste dovuto chiamare un teologo e, in modo particolare, un teologo esperto di ecclesiologia o, al limite, di teologia pastorale. Perciò è un poco strano che per parlare di questo tema abbiate scelto un filosofo, il quale, pur se credente e studioso dei rapporti tra teologia e filosofia, comunque a prima vista pare non debba entrare in tali questioni senza corre il rischio di invadere il campo che spetta invece ad altri. Certo l’argomento può essere affrontato da tanti e diversi punti di vista. E, se ho capito bene, da me volete una rilettura del Concilio –  in particolare della Lumen gentium –  alla luce del cammino sinodale, ponendo particolare attenzione all’evoluzione dei processi culturali di questi ultimi sessant’anni. Dunque, mi chiedete una “lettura antropologica” dell’ecclesiologia del Vaticano II e delle pratiche pastorali, alla luce anche di quelle che sono le grandi sfide di fronte alle quali si trova oggi la fede, sì da poter individuare i compiti che come Chiesa siamo chiamati ad assumere per evangelizzare in chiave missionaria, più profetica che aopoloetica.

 

Allora, se è questo ciò che mi chiedete, mi sento a mio agio, sempre nel rispetto di chi, come i teologi e gli esperti di ecclesiologia, legge tali dinamiche con un taglio più interno ai processi ecclesiali e pastorali, ritagliandomi in tal modo, per me, un approccio che definirei trasversale e più dall’esterno, in dialogo con la cultura del nostro tempo, caratterizzato dalla postmodernità e dalla fluidità-liquidità, ma anche dalla crisi dell’esperienza religiosa, o, almeno, di in una delle sue forme.

 

Pertanto, la chiave di lettura da cui mi porrò, la prendo dalla domanda posta all’inizio del documento preparatorio per la seconda fase del Sinodo, che, a  sua volta, riprende un passaggio del documento preparatorio di base. La domanda è la seguente:

 

«Come si realizza oggi, a diversi livelli (da quello locale a quello universale), quel “camminare insieme” che permette alla Chiesa di annunciare il Vangelo, conformemente alla missione che le è stata affidata? E quali passi lo Spirito ci invita a compiere per crescere come Chiesa sinodale?» (Documento Preparatorio, n. 2).

 

Mi permetto di ri-tradurre tale domanda nel modo seguente: “Che valore e che grado di incisività hanno nell’oggi post-cristiano le tre grandi categorie ecclesiali riprese dal Sinodo (comunione, partecipazione e missione), a cui aggiungerei quella del discernimento, con le quali la chiesa pretende di affrontare la nuova evangelizzazione? E tutto questo in che rapporto sta con l’evento conciliare celebrato circa sessant’anni fa? Insomma, quanto di Concilio c’è nel Sinodo, e in che modo questo Sinodo potrebbe essere (o di fatto deve essere) l’occasione per riprendere in mano alcune grandi innovazioni conciliari che in questi anni sono state eluse e disattese, se non addirittura poste nel dimenticatoio da certe prassi pastorali? In quante parrocchie e diocesi di Italia i documenti conciliari sono stati oggetti di percorsi formativi permanenti, se non in momenti solo occasionali più o meno solo di natura celebrativa?

 

Poste così le domande, per tentare di dare una risposta è necessario fare una doppia lettura: ad intra e ad extra. La prima serve per cercare di capire quale percezione di sé ha (o deve avere) la chiesa deve avere di sé per essere fedele al proprio mandato, sì da poter affrontare quella delegittimazione della fede che secolarizzazione, neopaganesimo, nichilismo e indifferentismo religioso, oggi dominanti, stanno sempre più provocando, specie nelle nuove generazioni.

 

La seconda lettura, invece, serve per capire quali cambiamenti culturali e quale mutazione antropologica sono avvenuti, e che ancora stanno avvenendo, allo scopo di comprendere quali linguaggi e quali nuovi modi è necessario adottare, come comunità di credenti, per promuovere una evangelizzazione che sia in grado di risignificare l’insignificanza (o l’a-significanza) del messaggio evangelico.

 

Riprendendo un’espressione di don Tonino Bello, possiamo dire che, da più punti di vista e per varie ragioni, oggi la Chiesa è “sotto inchiesta” e che il rischio è quello di vivere la “sindrome dello sfascio”. E, allora, dov’è che possiamo trovare, oltre al Vangelo, la leva per ri-dire Dio oggi, in un mondo senza Dio (Bonhoeffer)? Insomma, come ridare senso a Dio che non ha più senso? Come e che cosa mettere in campo per far sì che Dio ritorni ad essere una domanda sensata?

 

Alla fine fine, il Sinodo deve rispondere a questa domanda. Il Sinodo non è (più) solo una questione di metodo di lavoro (come hanno sostenuto alcuni), ma di sostanza, di contenuto e non solo di contenitore, visto che, nella società odierna, dove molti ordini di valori sono stati capovolti, il rapporto tra contenuto e contenitore è tale che a volte il primo dipende dal secondo.

 

Ed è qui che ci imbattiamo nella parte centrale di questo nostro incontro. Questa leva, oltre che nel Vangelo – continuamente da riattualizzare nell’oggi del nostro tempo storico – la possiamo ritrovare nel Concilio Vaticano II, unitamente al Magistero di tutti questi anni, e che di esso altro non è stato se un prolungamento, con una particolare attenzione, se mi permettete, all’enciclica di Papa Francesco, Evangelium gaudium, per la cui analisi vi ho dato in allegato uno schema di rilettura e di attualizzazione e al quale spesso farò riferimento.

 

Documenti

Relazione del prof. Michele Illiceto

 

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