Luce e Vita - Esperienza

Allora, si parte al campo scuola! Decalogo essenziale per una bella esperienza

Editoriale del 29 luglio 2022

campo

Parrocchie in fibrillazione in questi giorni di fine luglio e inizi agosto. Concluse le attività oratoriane che hanno impegnato migliaia di bambini e ragazzi per almeno un mese, generalmente nei pomeriggi, ma alcune parrocchie anche al mattino (vedi focus su Luce e Vita), adesso è la volta dei campi scuola che tornano dopo una pausa di due anni. L’esperienza di un camposcuola, più “storica” come attività estiva, per le numerose dinamiche che mette in campo, sia per quantità sia per qualità, costituisce una singolare opportunità educativa e relazionale su cui investire ancora.

A pensarci, un gruppo parrocchiale si incontra normalmente una volta a settimana per circa un’ora, un’ora e mezza, per circa 8 mesi (quando va bene) per un totale di circa 60 ore. In una sede pressoché la stessa, per fare attività consuete, intorno a un tavolo o giù di lì. Un campo di 5 giorni, qual è la durata media delle esperienze (che in passato arrivava anche a dieci giorni) coinvolge per circa 120 ore (già, perché contano anche quelle della notte…) in cui animatori, ragazzi e sacerdote condividono in full immersion giornate intere in un contesto completamente diverso da quello famigliare e da quello consuetudinario della parrocchia o della propria città. E condividono esperienze non possibili durante l’anno: il viaggio in pulman, le stanze, i bagni, la cucina, il pranzo, le escursioni, i litigi, la preghiera, le attività, le goliardate… Anche le relazioni assumono un colore diverso e per un educatore (prete e laico) è un modo per conoscere e conoscersi da più punti di vista. Se a questo aggiungiamo una lunga preparazione delle giornate, con un tema, gadget, attività, ambientazione, momenti di preghiera e di celebrazione più curati… il campo può dirsi una esperienza esplosiva sul piano educativo. Solo una persona pedagogicamente miope non ne coglie la valenza. Certo, richiede impegno, fatica, sacrificio rinuncia… Per questo vale la pena fare in modo che non sia un’occasione sprecata o gestita in maniera superficiale.

L’esperienza di tanti anni porterebbe a individuare un decalogo per un buon campo:

  1. Il campo va programmato in ogni cosa, senza lasciar spazio all’improvvisazione, ma nemmeno rinunciando a necessarie riorganizzazioni di un momento o di una situazione imprevista, con flessibilità e coerenza a temi e scelte operate.
  2. Per quanto possibile, non fare al campo quanto si potrebbe fare in parrocchia; la possibilità di stare fuori dal proprio contesto deve permettere di fare esperienze diverse da quelle che si potrebbero fare in sede. Altrimenti a che serve andare fuori?
  3. Fare del camposcuola una esperienza – quale che sia il tema scelto – che parli alla propria vita, che metta di fronte a se stessi, agli altri, al Creato e a Dio (visto che è un campo ecclesiale e non un ritiro sportivo o di altro tipo). L’itinerario delle giornate potrà trovare spazio su un fascicolo o libretto cartaceo o pdf su cellulare.
  4. Al campo si va per stare con gli altri, con tutti, non solo con qualcuno; quindi occorrerà fare in modo che il protagonista sia il gruppo, non la coppia o gli amici degli amici; anche per gli animatori, il campo è un’esperienza di dedizione all’intero gruppo, coltivando relazioni con tutti, che prolunghino e potenzino le relazioni che si hanno in parrocchia, e creando presupposti per importanti relazioni educative al ritorno. Per questo è fondamentale che gli animatori (e tra loro soprattutto il parroco) siano coloro che accompagnano normalmente i ragazzi nella loro formazione o che potranno diventarlo al rientro. Molta attenzione a quanti non si inseriscono facilmente con gli altri.
  5. Questo significa, per l’animatore, mettersi in gioco, non dominare, non comandare, non imporre, ma accompagnare, con tatto e discrezione, imparando a leggere sguardi, parole e gesti; se c’è da segnalare comportamenti scorretti, magari non farlo davanti agli altri e con toni minacciosi. Va da sé che i comportamenti scorretti non siano degli animatori stessi (linguaggio, modi, atteggiamenti…) e che sia preservata una asimmetria educativa (ciò che gli animatori non facciano i bambinoni, ma tengano il proprio ruolo educativo in ogni momento).
  6. Anche per gli animatori e il parroco, tra di loro, il campo è un’esperienza di crescita nelle relazioni, nel confronto e nel proprio ruolo educativo, su cui tornare a riflettere per proprio conto e insieme agli altri. Naturalmente grande spazio allo Spirito, grazie alla presenza del parroco.
  7. Stabilito il tema, le giornate siano programmate, con tempi non stressanti ma precisi in modo da garantire:
    • Un itinerario di preghiera (valorizzando la natura)
    • Una traccia di riflessione personale e di confronto in piccoli gruppi o in grande gruppo, con attività, linguaggi diversi e non solo semplici riunioni
    • Momenti di responsabilità: preparazione camera, rispetto dell’ambiente e dell’igiene, gestione attività, cucina…
    • Momenti di relax e di animazione creativa (specialmente dopo cena)
  8. Ingrediente irrinunciabile sono le escursioni, soprattutto naturalistiche e/o culturali, magari al mattino o tutta la giornata, per non rischiare di gironzolare tra la camera, il bagno, le comodità… e scadere nella noia; e l’uscita sia inserita nella traccia del campo (suggerendo attenzioni, osservazioni, interazioni…). Mentre nel pomeriggio l’attività può essere svolta in sede o nelle adiacenze della struttura, richiamando quanto fatto al mattino.
  9. Occorrerà darsi un’organizzazione anche dal punto di vista social: darsi una linea comunicativa, per cui ciascuno si impegna a rispettare determinati criteri, anche di privacy, e di fare in modo che quanto si pubblica (storie, foto, video…) siano non semplice atto narcisistico ma opportunità di “annuncio” e di “condivisione” anche con i propri follower. Quasi un voler estendere il campo a chi non c’era. Anche l’uso del cellulare non dovrà interferire con le attività che si svolgono.
  10. L’èquipe del campo si dia ogni sera un momento di verifica per riconoscere i momenti più belli della giornata, apportare correttivi e precisare la giornata successiva. Molta attenzione alle persone e a quanto manifestano con linguaggi verbali, paraverbali e non verbali. Perché non creare un diario del campo (cartaceo o digitale o social) dove ciascuno può andare a scriverci quanto vissuto o ha colpito durante la giornata? va da sè che una verifica più compiuta va fatta al ritorno.

Poi è anche opportuno organizzare la visita dei genitori, in un’unica giornata, per una condivisione di intenti e di esperienze con coloro che sono i primi responsabili dei ragazzi. Ma questo lo si decide situazione per situazione.
Mi sembrano condizioni ineliminabili per un’esperienza bella che comincia già molto prima della partenza e si prolunga molto tempo dopo l’arrivo. Lasciando un segno indelebile nella propria vita.

Allora buon campo!

Luigi Sparapano