Cantico del controsamaritano… per fare memoria

Giornata della memoria 2019

Vogliamo fare memoria, in questo 27 gennaio 2019, di tutte le vittime dell’odio umano: le vittime dell’odio di ieri, che colpì Ebrei, omosessuali, zingari, diversamente abili… Le vittime dell’odio di oggi che in modi e contesti diversi, colpisce i fratelli immigrati, sepolti sotto il mare che un tempo era di pace.

Foto di Luigi Sparapano, versi di Gianni Antonio Palumbo

Parte prima. Desolazione
Dove sono le donne di Auschwitz?
Dove le donne smistate a Berger-Belsen?
Dov’è Ester dalle lunghe trecce nere?
E dove siamo noi che non morimmo
e siamo vivi a stento,
per la vergogna che coprì le nostre case?
E dove sono io,
l’italiano che saliva da Gerico a Gerusalemme
e non si volse e passò oltre.
Lasciai morire un uomo per ignavia.
Dov’è il suo grido
che si spegneva nella valle?
Dov’è il mio grido
quando, alzando gli occhi al cielo,
piansi la morte delle stelle?
E dov’è Ester? e la madre?
Con ogni cura preparava il suo corredo
e nel corredo c’era un fazzoletto azzurro.
Quando Ester fu portata a Berger-Belsen
non aveva fazzoletto né nastrini.
Quando Ester morì a Beger-Belsen
per le strade profumava il gelsomino.
Maria, la sua vicina ariana,
s’annodava il fazzoletto azzurro al collo.
Sei generazioni di sue figlie
piangeranno l’onta dell’empietà civetta
d’una donna.
Dov’è ora Maria? E dov’è Ester?
E dove sono io?
Salendo da Gerico a Gerusalemme
voltai la testa altrove
e non unsi d’olio e vino
quei corpi che ora inerti
copriranno di vergogna
la mia casa.

Parte seconda: L’eterno ritorno
E voi, lasciate che un silenzio amaro
ora distenda il suo velo di ghiaccio
sulle nostre vite.
Noi che gridammo
“Marschieren im Geist in unseren Reihen mit”.
Che violammo il fiore delle donne d’Abissinia.
Chiamatela desolazione questa morte
che abbiamo accarezzato giorno dopo giorno.
Chiamatelo sepolcro questo mare che si chiude
sulle vittime di noi controsamaritani.
Chiamate barbarie il furore della razza
che proclama la purezza dell’impuro.
E poi chiamate Ester Judith Moishele
Nathan Rachel Sara e Abele.
Non vi risponderanno.
Sono fumo sulla collina di Mauthausen.
Puoi vederli? Allora sappi che saremo fumo
anche noi e il vento ci disperderà lontano
noi che assistemmo allo scempio dell’umano
col ciglio arido e il volto della Sfinge
cantando “SA marschiert mit ruhig festem Schritt”.
Vento, squassa il nostro passo
Che la memoria lenta già si spegne
Riportaci lontano a Fossoli o alla Buma
Che il dolore di Primo sia anche il mio
Che la morte di Maida sia la morte del mio cuore
Come il naufragio di quegli umili
È la cancrena di quest’occidente marcio.
Mare, che dissolvi e scorri,
rendici l’anima che non abbiamo,
dacci la vergogna della nostra indifferenza,
culla quel silenzio inerte
a lacerarci il cuore.

Parte terza: IL VERDETTO
Prego come te, poeta, che pensasti
forse di pendere da un albero di pino
ma molto più di noi eri innocente
io molto meno
loro come me.
Prego e pregate Dio
che tutti possa e voglia assolvere.
Ma meritiamo poi l’assoluzione
noi che passammo accanto alla Morte
tante volte e che non siamo morti
neanche un giorno, neanche un poco?
Meritiamo poi l’assoluzione noi
che inginocchiati sugli altari
denunciammo il vicino celato in cantina
e accendemmo ceri ai santi
per la spoglia opima che ne ricavammo?
E meritiamo poi l’assoluzione
noi che danzammo al ritmo degli Schweine Juden
e cedemmo al serpente
perché troppo scomodo era scernere il buono dal cattivo?
Relitti di un cielo reietto
Stame di stagioni morte
Senza storia né memoria.
Non domandateci che cancerosa insania
Ci sconvolse ci tradì.
Solo pregate Dio
che tutti voglia e possa assolvere.

Risuonò nel frastuono la voce di Dio.
Tacquero allora i faggi e le stelle.
Il verdetto scivolò a precipizio in una forra.
Oggi la sentenza è nel respiro di un sasso.