La figura sacerdotale oggi: vocazione, formazione, comunione, stile di vita, dialogo con le persone, rapporto con i social, rinuncia al ministero e pedofilia; e poi la “mobilità delle tende”. Ne abbiamo parlato con don Pasquale Rubini, responsabile della formazione permanente del Clero. Intervista a cura di Luigi Sparapano, pubblicata su Luce e Vita n. 25 del 20 giugno 2021.
Perché è stata istituita questa giornata?
“Occorre dunque che la comunità cristiana li sostenga con la sua preghiera. Per questo, nella mia Lettera ai Sacerdoti per il Giovedì Santo di quest’anno, ho suggerito a tutte le Diocesi del mondo di celebrare una Giornata per la Santificazione dei sacerdoti, in cui invocare il Signore perché tutti i suoi ministri vivano nella conformazione sempre più piena al cuore del Buon Pastore” (Giovanni Paolo II).
La Giornata di santificazione sacerdotale fu istituita nel 1995 da Giovanni Paolo II e ricorre a livello mondiale nella Solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù. A livello diocesano la celebriamo in uno dei venerdì successivi, sempre nel mese di giugno, quest’anno il 25. La consapevolezza è che, come affermava il santo Curato d’Ars: “Il sacerdote è l’amore del cuore di Gesù […] è un qualcosa di immenso, che se lui stesso lo comprendesse, ne morirebbe”. Pertanto questa giornata è un’occasione per riaccendere in tutto il popolo di Dio la conoscenza della preziosità del ministero presbiterale, per pregare per i sacerdoti e per le vocazioni all’Ordine Sacro.
La nostra Diocesi ha 75 sacerdoti diocesani, con un’età media di quasi 60 anni (punte di 27 e 96), due diaconi prossimi al sacerdozio, quindi la stragrande maggioranza in età pienamente attiva (ma più che attivi sono anche i sacerdoti ultrasettantacinquenni!). Come descriveresti il presbiterio diocesano?
Caratterizzato da presbiteri che mettono la propria debole e vulnerabile umanità nelle mani di Dio e a servizio della Chiesa. Il nostro è un presbiterio multiforme che potrà essere coinvolgente se ascoltandosi e lavorando sinergicamente, saprà udire la voce di Dio che parla mediante i segni dei tempi. Ha al suo interno persone capaci e dal cuore grande. Certamente non mancano le fragilità connesse con la nostra condizione umana, ma al tempo stesso ci sono anche slanci di generosità, testimonianza di paternità spirituale e cammini di comunione fraterna.
In che modo la Diocesi assicura la comunione presbiterale e la formazione continua dei sacerdoti?
Custode e promotore della comunione tra i presbiteri e nella Chiesa diocesana è il Vescovo. È lui che come Padre e Pastore cura “i suoi preti” con la sollecitudine che manifesta con il dialogo interpersonale e nel favorire la formazione umana, spirituale e teologico-pastorale. Pertanto in tale ottica sono favoriti i convegni diocesani, i ritiri mensili, gli incontri della formazione permanente di tutto il clero e i momenti di fraternità. Particolare attenzione si ha nel sostenere il cammino dei sacerdoti più giovani attraverso appuntamenti mensili ed esperienze di formazione. Inoltre in Diocesi si stanno sperimentando le fraternità presbiterali in cui i sacerdoti hanno la possibilità di vivere insieme condividendo spazi comuni e alcuni momenti della giornata.
Il rapporto sacerdote/anime in Diocesi è di circa 1 prete ogni 1740 persone. Quale relazione il sacerdote riesce a costruire oggi con la gente? C’è ancora quel rapporto confidenziale che si trasforma in direzione spirituale?
Siamo nel tempo dell’indifferenza religiosa, della crisi dei valori e del postcristianesimo! Possono sembrare dei luoghi comuni o forse delle esagerazioni, eppure nelle nostre comunità si avverte la fatica di lavorare per il Regno e il rifugiarsi nel “si è sempre fatto così”. Magari con le solite persone, perché gli altri, soprattutto giovani, frequentano altri luoghi che non sono le nostre comunità. In tale contesto il Signore invita i sacerdoti a non lasciarsi prendere dallo scoraggiamento o dal rifugiarsi nelle comodità di una esistenza ritirata, a misura dei propri bisogni umani, ma a essere lungimiranti e a scommettere sulla grazia di Dio, sulle potenzialità delle persone e sulla formazione delle coscienze. Sono tanti i momenti in cui poter incrociare la gente: la catechesi e la celebrazione dei sacramenti per i ragazzi in cui incontrare anche gli adulti, gli eventi della pietà popolare, la benedizione delle case, i matrimoni, i funerali, gli oratori. Tante sono le occasioni! In queste e in altre, se vuole, il sacerdote ha la possibilità di toccare il sacrario del cuore di ogni persona, mediante il dialogo e i sacramenti con l’obiettivo di alimentare il dinamismo della fede che si concretizza nelle scelte di vita, nel servizio ecclesiale, nelle attività della vita sociale e nelle scelte politiche. Occorre avere il coraggio di “donare il proprio tempo” nell’ascoltare, nel consigliare, nell’accompagnare, nell’accogliere e nell’andare a cercare, anche nelle case. I preti oggi hanno sempre da fare tante cose: la cura spirituale delle persone è la più importante, dopo la preghiera. Oserei dire, un impegno a cui nessuno può sottrarsi. Altrimenti occorrerebbe farsi una domanda: perché mi sono fatto prete?
Quale percezione, invece, hai di come la gente vede il sacerdote?
Nelle nostre città la gente vuole bene ai suoi sacerdoti. Forse i più giovani guardano con sospetto, ma se incontrano un sacerdote che vuole il loro bene, diventa “il mio don”. Sta al sacerdote farsi amare ed essere incisivo con la presenza e con la coerenza di una vita gioiosa, generosa e sobria.
Dal momento che l’attività pastorale, specie nelle parrocchie periferiche, è spostata e concentrata in poche ore serali, qual è la giornata tipo di un sacerdote?
Il ministero sacerdotale non è un lavoro, è un servizio che non ha tempo. La vita del sacerdote è cadenzata da impegni pastorali, attività, incontri, celebrazioni, ma non è solo tutto questo. C’è il rischio di cadere nell’attivismo e di fare tutto bene per una sorta di ricercatezza estetica che trascura la sostanza del Vangelo. Ogni sacerdote sa che le sue giornate devono assumere una forma Christi. Per questo occorre alimentare la preghiera personale, lo studio e la riflessione. È importante dedicare il tempo, quello libero da attività, a pensare e progettare cammini formativi, con altri preti e con i laici, a fare direzione spirituale, ad andare a trovare qualche famiglia in difficoltà o i propri malati. Le attività della parrocchia non sono solo ad intra, anche ad extra delle sue mura. Ogni sacerdote, nella sua coscienza, decide come occupare il suo tempo affinché sia un Kairós. In ultimo, ma non per ultimo, il sacerdote in quanto di “carne e ossa”, ha bisogno del medico, del barbiere, del meccanico, di un po’ di riposo e di un sano rapporto con i propri familiari e amici. Anche queste piccole cose fanno tanto bene.
C’è poi la questione social: fotografie, commenti, like… Quale dovrebbe essere il ruolo sacerdotale sui territori digitali?
Il sacerdote non può far finta che non esistano. Essi sono uno strumento, anzi uno spazio che la Provvidenza ci ha affidato per la trasmissione della buona notizia del Vangelo, soprattutto tra i giovani. Anche in questo aspetto occorre che i sacerdoti siano più che esperti, in formazione. In tali dinamiche non basta la buona fede, è necessario considerare molti aspetti della comunicazione affinché il messaggio sia fruttuoso. Altrimenti si può cadere nel ridicolo o nel banale. Inoltre penso che sia indispensabile un energico discernimento nell’adoperare con saggezza tali mezzi affinché rimangano uno spazio e non la modalità prevalente con cui tradurre le proprie giornate perdendosi in un chiacchiericcio inutile e in situazioni pericolose e a volte anche immorali.
Non possiamo non osservare che sono diversi i sacerdoti giovani che lasciano il ministero. Formazione, discernimento, ordinazione, relazioni pastorali avviate poi tutto si interrompe. Dove cercare le cause di questo?
Quando ci sono delle defezioni tutta la Chiesa soffre. Il popolo di Dio piange per i suoi pastori quando non sono più nel luogo dove il Signore li chiama a pascere il gregge di Cristo. È una situazione dolorosa che chiede a tutti di pregare perché i propri sacerdoti siano santi e santificanti. La formazione ricevuta in seminario non basta e a volte risulta insufficiente dinanzi alle sfide della modernità. Infatti il sacerdote è in formazione per tutta la vita non solo con i momenti previsti dal calendario diocesano, ma con un impegno personale di autoformazione. Occorre essere uomini di fede per vivere un’autentica spiritualità presbiterale che si concretizzi in una preghiera costante e prolungata che renda abitabile e feconda la solitudine del sacerdote. È fondamentale stringere rapporti sinceri con altri sacerdoti con cui condividere un cammino e la fraternità. Vitale è la relazione con il padre spirituale, con il Vescovo e con il presbiterio, senza trascurare la vigilanza su se stessi, valorizzando il celibato e custodendo l’affettività presbiterale con uno stile di vita sobrio, nel vestire, nell’uso del denaro e nei rapporti con le persone. Tutto questo nella consapevolezza che la vita è veramente “mia” quando la “spendo” nel ministero che il Signore mi affida mediante la volontà del Vescovo. Nel giorno dell’Ordinazione il Vescovo, consegnando la patena e il calice al neo presbitero, dice: “Ricevi le offerte del popolo santo per il sacrificio eucaristico. Renditi conto di ciò che farai, imita ciò che celebrerai, conforma la tua vita al mistero della croce di Cristo Signore”. Il vivere tale missione è un balsamo che sana e illumina la fedeltà del sacerdote nella quotidianità del ministero.
C’è una ferita aperta nella Chiesa, la pedofilia anche da parte di sacerdoti…
Quella della pedofilia è una questione che riguarda il rapporto tra adulti e bambini/ragazzi. In tale tragedia l’adulto non è un più un educatore, ma un untore di morte. Nella nostra società in cui emerge un paradigma antropologico individualista e narcisista si afferma la logica dell’utile e dello scarto: tutto concorre, in modo strumentale, alla soddisfazione del proprio io, anche il mio prossimo. Ancora più desolante quando ciò avviene nella Chiesa. Tale situazione sprona a una riflessione sul bene integrale della persona che si attualizza attraverso il dominio di sé e il rispetto della dignità dell’altro.
Crisi degli organismi di partecipazione: i consigli pastorali non riescono ad essere quello per cui esistono e forse per i sacerdoti è più comodo così: “chiedere servizi” a singole persone più che fermarsi a pensare insieme, a fare quel discernimento tanto declamato. Eppure qualcuno ha parlato di “ordine del giorno del mondo” e la Chiesa sta avviando un Sinodo “dal basso”. Cosa pensi a riguardo?
Nel Convegno di Firenze del 2015 Papa Francesco invitò la Chiesa italiana a evitare il neo-gnosticismo – “quello di una fede rinchiusa nel soggettivismo, dove interessa unicamente una determinata esperienza o una serie di ragionamenti e conoscenze che si ritiene possano confortare e illuminare, ma dove il soggetto in definitiva rimane chiuso nell’immanenza della sua propria ragione o dei suoi sentimenti” – e il neo-pelagianesimo – che “ci porta ad avere fiducia nelle strutture, nelle organizzazioni, nelle pianificazioni perfette perché astratte… Spesso ci porta pure ad assumere uno stile di controllo, di durezza, di normatività. La norma dà al pelagiano la sicurezza di sentirsi superiore, di avere un orientamento preciso. In questo trova la sua forza, non nella leggerezza del soffio dello Spirito. Davanti ai mali o ai problemi della Chiesa è inutile cercare soluzioni in conservatorismi e fondamentalismi, nella restaurazione di condotte e forme superate che neppure culturalmente hanno capacità di essere significative”. Forse occorre liberarsi come Chiesa da tali tentazioni, senza soccombere al rischio dell’amnesia di quanto lo stesso Magistero ha suggerito in questi ultimi anni. è indispensabile avviare un sincero discernimento comunitario, senza cedere alla retorica, agli slogan teologico-pastorali o al disinteresse ecclesiale e ripartire da quelle “occasioni” di evangelizzazione che richiedono tempi e strutture e soprattutto una buona dose di passione per Cristo. A volte le impellenti necessità delle nostre comunità e la scarsità degli operai del Vangelo spingono il sacerdote a scegliere sempre gli stessi. Anche in questo ci vuole il coraggio di coinvolgersi e di non avvertire la comunità come un supermercato: nella Chiesa c’è posto per tutti, anche se non sono in prima fila.
Allo stato attuale ritieni predomini la collaborazione o la corresponsabilità dei laici?
Questa è una domanda che richiederebbe un confronto sincero e simpatico tra laici e sacerdoti. Penso che al di là delle belle parole sarebbe opportuno che tutti ci impegnassimo di più per la causa del Vangelo con umiltà e in uno spirito di dialogo. Nella nostra Diocesi ci sono tanti laici preparati e generosi. Il loro impegno è edificante. Tuttavia occorre in questo momento suscitare il fascino del Vangelo soprattutto tra i giovani con un’onesta testimonianza di vita e con una reale comunione tra laici e sacerdoti. La vocazione laicale e quella sacerdotale si sostengono reciprocamente nel vivere la corresponsabilità del Vangelo. Infatti, i sacerdoti sono scelti tra i laici e da questi, sono accompagnati nel cammino vocazionale e quello presbiterale. I laici attingono dal ministero del sacerdote la grazia che purifica e rende pienamente umani. Insieme formano il popolo di Dio per questo l’antagonismo o il pettegolezzo non sono secondo lo stile del Vangelo.
E’ nell’aria la comunicazione di nuovi incarichi pastorali: tra attese e delusioni, qual è il senso della “mobilità delle tende”?
Grande fiducia nell’azione dello Spirito Santo che guida la sua Chiesa. Ringraziamento per il bene che si è riuscito a realizzare con la presenza di un sacerdote nella comunità. Preghiera perché il rinnovamento non sia vissuto come una liberazione o un funerale, ma quale occasione di crescita e d’impegno.
I sacerdoti sono a servizio, non sono padroni delle comunità. Certo ci si lega a persone e a luoghi, ma l’amore per Cristo allarga i cuori e spinge verso il futuro.