«Cari fratelli e sorelle, vorrei esprimere nuovamente la mia vicinanza spirituale e paterna al popolo dello Sri Lanka. Sono molto vicino al mio caro fratello, il cardinale Malcolm Ranjith Patabendige Don, e a tutta la Chiesa arcidiocesana di Colombo. Prego per le numerosissime vittime e feriti, e chiedo a tutti di non esitare a offrire a questa cara nazione tutto l’aiuto necessario. Auspico, altrettanto, che tutti condannino questi atti terroristici, atti disumani, mai giustificabili.»
Le parole del Papa a Pasqua e al Lunedì dell’Angelo sono tornate a parlare nuovamente dello Sri Lanka colpito da drammatici attentati contro chiese e hotel che hanno causato almeno 290 morti e centinaia di feriti. Non pochi ne hanno appreso notizia proprio dalle parole del Pontefice nel giorno di festa più grande per i cristiani.
Le stragi sono state compiute da sette kamikaze. Un portavoce del governo ha affermato che dietro gli attentati ci sarebbe un movimento islamista locale, il National Thowheeth Jama’ath (NTJ).
Il card. Albert Malcolm Ranjith Patabendige Don, arcivescovo di Colombo e presidente della Conferenza episcopale dei vescovi dello Sri Lanka, intervistato da Vatican news ha affermato: «Sì, c’è molta paura e anche un po’ di insicurezza perché non si hanno notizie certe: dicono che esistono cellule di questi piccoli gruppi che vogliono uccidere. Abbiamo fatto un appello al governo e alle agenzie di sicurezza affinché indaghino bene per trovare i responsabili e per fare in modo che questa situazione non si ripeta».
È una lunga scia di sangue, infatti, che in questo Paese si perpetra da anni. Purtroppo lo Sri Lanka non è un caso isolato. Come più volte anche da queste pagine abbiamo informato, è molto vasta la mappa di territori in cui i Cristiani soffrono per la propria fede: cresce ancora la persecuzione anti-cristiana nel mondo in termini assoluti, così come cresce il numero di paesi dove essa si verifica.
Oggi salgono ad oltre 245 milioni i cristiani perseguitati, sostanzialmente 1 cristiano ogni 9 subisce una forma di persecuzione a causa della propria fede. Sono dati del dossier World Watch List 2019 (WWL), di Porte Aperte, l’annuale rapporto sulla libertà religiosa dei cristiani nel mondo. E anche se lo Sri Lanka – che ha una popolazione di 21 milioni di abitanti, a prevalenza buddisti e solo 2 milioni i cristiani – risulta al 45° posto nella lista dei 50 paesi più persecutori (i primi dieci sono: Corea del Nord, Afghanistan, Somalia, Libia, Pakistan, Sudan, Eritrea, Yemen, Iran, India, Siria) la strage di Pasqua segna l’aggravarsi di una situazione di per sè già critica. Se gli ultimi attentati sono di matrice islamista, la WWL informa che «le principali fonti di persecuzione sono i movimenti buddisti radicali, a volte sostenuti da funzionari (locali)».
«I convertiti di origine buddista o indù subiscono le forme più gravi di persecuzione. Sono soggetti a molestie, discriminazioni ed emarginazione da parte della famiglia e della comunità. Sono messi sotto pressione per ritrattare il cristianesimo, poiché la conversione è considerata un tradimento: tutti i cingalesi (la maggioranza in Sri Lanka) dovrebbero essere buddisti. Allo stesso modo, all’interno della minoranza Tamil nel nord-est, ci si aspetta che siano tutti indù, ad eccezione di quelli appartenenti alle comunità cristiane storiche. La minoranza cristiana è in parte tollerata, ma non lo sono i convertiti al cristianesimo. Inoltre, le chiese non tradizionali sono spesso prese di mira da vicini di casa, spesso raggiunti da monaci buddisti e funzionari locali, con richieste di chiudere i loro edifici ecclesiastici che considerano illegali».
Allargando lo scenario fra tutti i paesi dove si perseguitano i cristiani notiamo come dal 1° novembre 2017 al 31 ottobre 2018, i Cristiani uccisi per cause legate alla fede sono 4.305; Chiese ed edifici cristiani collegati ad esse distrutti sono 1.847; Cristiani arrestati, condannati e detenuti senza processo sono stati 3.150.
Può sembrare strano, da non credere, ma in alcune regioni del mondo fare il segno della croce, andare a Messa, possedere e leggere la Bibbia, parlare di Gesù o pregare o recitare il Rosario – cose che per noi diventano a volte noiose, abitudinarie, senza trasporto – significa rischiare la propria vita. Rispetto ai 75000 cristiani perseguitati agli albori del cristianesimo “oggi ci sono più martiri che nei primi secoli” ripete il Papa in diverse circostanze, come un mantra. Però perchè se ne parli serve, purtroppo, la strage, l’evento catastrofico; crocifissi o fatti sbranare dai leoni, nel passato; non meno cruenti le uccisioni dell’estremismo del nostro tempo di cui il web riporta foto e video dei loro sgozzamenti, delle impiccagioni e lapidazioni.
Ancora una volta siamo provocati alla preghiera e alla presa di coscienza.
Riposte nelle nicchie le statue che ci hanno commosso durante le processioni della settimana santa, tenendo viva la fiamma della fede riattizzata nella notte santa, sarebbe bello che tutti, confratelli, associazioni, parrocchie… ci radunassimo per dare seguito all’invito del Papa: pregare per i credenti che nel mondo (anche nei Paesi democratici) vengono uccisi.
Luigi Sparapano
© Luce e Vita n.17 del 28 aprile 2019