Ammettiamolo. All’inizio abbiamo dato poco peso alla faccenda coronavirus, quasi circoscritta in Cina. Impossibile che accadesse anche da noi. Poi, passando dalla Germania, il virus è giunto in Lombardia e ancora sembrava che qui giù non dovesse arrivare mai.
Sospendere le messe? Rinunziare all’eucaristia? Roba da pazzi! E chi oserebbe rinunciare alle processioni della Settimana Santa? Dal DPCM del 4 marzo 2020 in poi – che ordinava, tra l’altro, la chiusura delle scuole – le cose sono cambiate e un po’ tutti abbiamo preso coscienza che la cosa fosse veramente seria. Tanto da indurre i nostri Pastori, con molta sofferenza, ad accogliere le successive indicazioni governative sulla sospensione delle cerimonie religiose fino al 3 aprile 2020. È stato un incalzare di disposizioni anche nella nostra Diocesi (gli atti sono disponibili sul sito diocesano): il 5 marzo Mons. Cornacchia comunicava le norme di comportamento da tenersi nelle chiese, salvaguardando la celebrazione della Santa Messa nel rispetto delle norme. Il 7 marzo, con altra notificazione, sospendeva la celebrazione delle Cresime, la visita pastorale, le feste e le manifestazioni religiose con grande concorso di popolo. Fino a giungere alla nota della Conferenza Episcopale Pugliese, del 9 marzo 2020, che recependo il successivo DPCM e il comunicato della CEI, sancisce chiaramente le disposizioni cui tutti i sacerdoti e parroci devono attenersi (a pag.2). Chiudiamo il giornale (lunedì 9 marzo) ascoltando la comunicazione del premier che stabilisce l’intera Italia come zona protetta con le conseguenti misure restrittive. Certo che il picco deve essere ancora raggiunto, ma con il nostro comportamento, “restando a casa” possiamo e dobbiamo superarlo quanto prima.
Non tocca a noi fare considerazioni di tipo medico o politico e siamo convinti che tanto i governanti quanto gli operatori sanitari stiano lavorando al massimo e con competenza. Respingiamo ogni forma di speculazione politica. A loro il nostro grazie sincero, comprendendo anche la delicatezza di una responsabilità che li pone di fronte a una situazione assolutamente nuova, almeno negli ultimi decenni. Ci atterremo alle disposizioni prescritte! Tutti! E RESTIAMO A CASA!
Mai come in queste circostanze risuonano forti tre parole che, prese in prestito dall’Azione Cattolica, possono orientare il nostro essere cristiani in queste circostanze: preghiera, azione e sacrificio.
Preghiera. Lo ha già suggerito paternamente il Papa, lo hanno fatto i Vescovi e anche la Consulta Diocesana delle Aggregazioni Laicali, nel documento dell’8 marzo (pag.3), invita alla «preghiera personale o comunitaria, efficace sempre e comunque … preghiera inclusiva, per tutti e per ciascuno, all’affidamento e all’abbandono al Signore». In questo dobbiamo crederci fino in fondo, noi credenti. Non lasciarci andare a quell’atteggiamento un po’ snob di chi ritiene sorpassati o “medievali” l’invocazione e l’affidamento a Dio, alla Vergine e ai Santi. La Messa, il Rosario, la Liturgia delle Ore, la Via Crucis… sono costanti invocazioni al Padre. Quindi intensifichiamo la lettura della Bibbia, la preghiera, individuale e famigliare o tramite i mezzi di comunicazione, soprattutto per le vittime, gli ammalati e i loro congiunti.
Azione. Già i Comuni si stanno attivando, in rete con associazioni locali (vedasi, ad esempio, la rete Ruvosolidale) per andare incontro ad anziani e ammalati ai quali evitare l’uscita e favorire l’approvvigionamento di cibo e medicine. È ancora la CDAL che sollecita a sperimentare «i “condomini solidali”, che vadano incontro alle fragilità della porta accanto, promuovendo l’attenzione all’altro». Anche la Caritas diocesana, pur sospendendo gli orari dei centri di ascolto, garantisce «a tutte le persone in condizione di bisogno e fragilità assistenza alimentare e farmaceutica al fine di evitare esposizioni a rischio di contagio» (i numeri di riferimento sono riportati in ultima pagina). C’è da badare ai bambini di genitori lavoratori, ad anziani, ad ammalati… Ma l’azione primaria è quella del rigoroso rispetto e della diffusione delle norme di prevenzione ormai note a tutti. Non possiamo derogare.
Sacrificio. Forse il più grande sacrificio, per i credenti, è quello del digiuno eucaristico (è commovente che se ne avverta la mancanza!). Un sacrificio che ci viene richiesto per poter valorizzare di più il dono di quel Corpo e Sangue di Cristo troppe volte banalizzati. Partecipiamo alla comunione spirituale seguendo le Messe del Papa da Santa Marta, o quelle in TV (vedasi ultima pagina) oppure con le trasmissioni in streaming che molte parrocchie stanno organizzando (forse adesso comprendiamo meglio il valore degli animatori della comunicazione in parrocchia). Ma questo è anche il tempo di sacrificare abitudini superflue per rendere operoso il nostro tempo, anche in un maggior impegno di lettura, di studio, di approfondimento a schermi spenti. Il sacrificio di rinunciare a pratiche consuete (palestra, bar, cinema…), per riappropriarci delle relazioni famigliari trascurate. Soprattutto il non lasciarsi andare a commenti e condivisioni facili e stupide sui social. Già, digiunare dalle banalità in rete.
Ci sarebbe anche una quarta parola: studio. E questa la riserviamo soprattutto ai medici, agli scienziati perché, esercitando come sempre il dono dell’intelletto, sappiano quanto prima trovare il rimedio ai nostri mali. Il tempo è propizio per prenderci cura di noi stessi e dei nostri cari, della nostra fede e della nostra umanità, talvolta messe in secondo o terzo piano rispetto ad altro. Solo noi possiamo ricavare il bene dal male.
Luigi Sparapano