Il primo verso di una poesia del poeta francese Edmond Haracourt (1856-1941), diventato un proverbio famoso, recita così «Partire è un po’ morire rispetto a ciò che si ama poiché lasciamo un po’ di noi stessi in ogni luogo ad ogni istante».
È dall’inizio del 2020 che siamo partiti per un viaggio inedito, con scenari per lo più sconosciuti e, davanti a noi, la paura di una pandemia che, fino ad oggi, ha determinato un improvviso e necessario mutamento di rotta nella prassi pastorale delle nostre comunità. I confini dell’azione ecclesiale sono stati inaspettatamente ridisegnati per evitare una crisi profonda che fosse la proiezione di una angoscia umanamente comprensibile.
Abbiamo visto le nostre agende svuotarsi, i nostri appuntamenti saltare, le nostre celebrazioni liturgiche e i nostri incontri formativi cancellati. Ci siamo, di fatto, ritrovati privi delle nostre consuete certezze, indecisi sul da farsi e preoccupati per la salute del mondo intero.
Ma la fantasia della pastorale, aiutati dalla forza dello Spirito Santo, ha bussato alle porte delle nostre comunità consentendo di leggere anche questo tempo di prova come un evento di grazia, come opportunità di rinnovamento, con uno sguardo di fiducia e di speranza orientato a cogliere nuove sfide.
Abbiamo, pertanto, imparato a riconoscere ciò che è essenziale e ciò che invece risulta superfluo, in ascolto continuo della voce di Dio che parla attraverso la sofferenza della gente, attivando un esercizio di discernimento comunitario su come accompagnare, anche a distanza, la fede delle persone.
È vero, le nostre chiese sono apparse più vuote rispetto al passato e la scelta di usare piattaforme digitali per vivere incontri di formazione ha sicuramente accorciato le distanze senza colmare il desiderio di sperimentare relazioni in presenza. E così le nostre case si sono trasformate in luoghi di culto dove sperimentare la preghiera in famiglia e fermarsi a leggere e riflettere sulla Parola di Dio. E i computer, i tablet e i cellulari sono diventati strumenti preziosi per evangelizzare e fare catechesi.
Ora, con rinnovata fiducia in Dio e con il cuore colmo di speranza, è il momento di ripartire così che il tempo della prova lasci il passo al tempo della rinascita.
È tempo di ripartire con la consapevolezza che le scelte pastorali necessitano dell’ascolto della voce di Dio, ma anche di quella di tanti uomini e donne a servizio della Chiesa e del mondo, con lo stile ecclesiale della conversione pastorale, che è un processo lento che si compie insieme a piccoli passi.
Le tre scelte di fondo evidenziate nel programma diocesano dell’anno pastorale che sta per concludersi – camminare insieme, essenzializzare, fare rete – rimangono fondamentali per dare nuovo impulso alle sfide che il mondo e la Chiesa ci chiede di vivere per un rinnovato slancio missionario.
È tempo di ripartire per intraprendere, come ha chiesto Papa Francesco alla Chiesa Italiana, un cammino sinodale che permetta la costruzione di un “noi ecclesiale”. Il Card. Bassetti, nella sua introduzione all’ultima Assemblea Generale della CEI (maggio 2021) ha infatti affermato: È necessario «mettere in campo percorsi sinodali capaci di dare voce ai vissuti e alle peculiarità delle nostre comunità ecclesiali, contribuendo a far maturare, pur nella multiformità degli scenari, volti di Chiesa nei quali sono rintracciabili i tratti di un “Noi” ricco di storia e di storie, di esperienze e di competenze, di vissuti plurali dei credenti, di carismi e ministeri, di ricchezze e di povertà… È uno stile che vuole riconoscere il primato della persona sulle strutture, come pure che intende mettere in dialogo le generazioni, che scommette sulla corresponsabilità di tutti i soggetti ecclesiali, che è capace di valorizzare e armonizzare le risorse delle comunità, che ha il coraggio di non farsi ancora condizionare dal “si è sempre fatto così”, che assume come orizzonte il servizio all’umanità nella sua integralità».
È tempo di ripartire, così come ha avuto modo di suggerire il nostro Vescovo nell’omelia dell’ultima messa crismale, prospettando, dopo la visita pastorale effettuata in questi due anni, il cammino da percorrere: «Le comunità parrocchiali siano il cantiere della speranza sempre aperto nelle nostre città. In questo momento anch’esse sono chiamate a spingersi verso prospettive inedite e possibili cambiamenti, a praticare percorsi di conversione pastorale, riformulando un sogno di parrocchia che sia all’altezza del Vangelo. Una parrocchia che non si riduca né ad una vetrina di antiquariato né ad una pinacoteca, ma che si ripensi come laboratorio di futuro: creativo, attraente, appassionante».
Ripartire, dopo questi mesi difficili, lasciando morire “un po’ di noi stessi in ogni luogo in ogni istante” per rinascere a una vita, personale e comunitaria che abbia il sapore delle “cose nuove” che solo Dio può regalarci.
don Vito Bufi, direttore Ufficio pastorale